MC n. 1: trent'anni fa!
MC compie trent'anni. Il primo numero uscì nel settembre '81 e a sfogliarlo oggi si rimane a bocca aperta.
Ebbene sì, lo ammetto: io NON c'ero. Nel senso che c'ero - certo! - anagraficamente parlando, ma non facevo ancora parte dello staff di MCmicrocomputer che proprio quell'anno (1981) e quel mese (settembre) vedeva la luce... in edicola. E fu proprio in edicola, alla stazione, che mi fu consegnato per sbaglio. Chiedevo Micro & Personal Computer, ma l'edicolante mi mollò questo strano "clone" (e il bello che a quei tempi il concetto di "clone", come lo intendiamo oggi, ancora non c'era!). Stavo per restituirlo indignato, quando mi accorsi che c'era qualcosa di familiare in quelle pagine, foto comprese!
Considerata la fame di informatica (nascente) che avevo a quei tempi, decisi di acquistarlo lo stesso, salvo tornare di lì a poco a prendere anche M&P, di cui ero fedelissimo lettore dalla sua nascita, un paio d'anni prima. Non tornai... perché sfogliando le pagine della neonata MC la verità venne subito a galla: erano proprio loro, gli ex di Micro&Personal che, staccatisi dal gruppo originario, avevano appena fondato una rivista tutta loro. Anzi due, visto che nacque contestualmente anche AudioReview, clone-anche-questa-un-corno di Suono.
In realtà - giuro che poi la smetto con questa superflua autocelebrazione! - 1981 e settembre sono un anno e un mese che hanno segnato fortemente la mia vita e - ma guarda un po'... - il mio intreccio "vitale" con MCmicrocomputer. Fu proprio una ventina di giorni dopo (quindi era sempre settembre-81) che incontrai e conobbi per caso Marinacci in quel di Parigi: io ero presente per partecipare al torneo mondiale di Othello per computer e calcolatrici programmabili, lui in qualità di Condirettore di MC e in quella sede per un reportage sul Sicob, manifestazione francese dedicata, tra le altre cose, all'informatica (nascente). Così fui incaricato di scrivere un articolo sull'argomento e lo feci... insieme ai quasi 600 a seguire, nei vent'anni successivi. Tombola!
Che tempi...
Ogni volta che sfoglio MC n. 1 sembra, davvero, di tornare indietro di... secoli! Eppure quella, proprio quella lì, è stata per molti di noi l'informatica nella quale siamo nati e cresciuti. Era quello un mondo, nel 1981, in cui non solo nessuno osava immaginare Internet così come la conosciamo oggi, ma tante altre "cose" di uso del tutto quotidiano a quei tempi non c'erano. Non c'erano i PC "standard", non esistevano i Mac, il mouse era "solo" un topo... inglese, le stampanti erano lentissime e facevano SEMPRE un rumore insopportabile, gli hard disk erano roba da ricchi (anzi da uffici/dipartimenti ricchi) e i monitor migliori erano... a fosfori verdi.
L'altra cosa strana di quel periodo è che praticamente non esistevano, o quasi, software già fatti. Di solito chi vendeva computer professionali alle aziende o agli uffici si curava di realizzare ad hoc anche i relativi programmi, che fossero di contabilità, progettazione o semplice archiviazione/magazzino. L'utente "home", viceversa (ma era proprio questo il bello), doveva fare tutto da solo. Acquistava il computerino, lo collegava (nel 103% dei casi!) in radiofrequenza-via-cavo al televisore piccolo di casa - suscitando il più delle volte le ire in cucina di mogli e figli! - dopodiché si scriveva da solo i programmini. Magari corrompendo l'amata consorte a suon di promesse del tipo: dai, ti faccio anche un programmino per le ricette di cucina!!! (una cagata pazzesca... :-)
Gli utenti professionisti, quasi sempre ingegneri o commercialisti, si dividevano l'intero mercato "alto" di quei tempi: le tre principali "piattaforme" (mica si chiamavano così...) erano Apple, Commodore e Tandy Radio Shack (più nota come TRS). Gli Apple, ripeto, non erano i Mac (ancora non c'erano) e i Commodore non erano i vari Vic-20, 64 e Amiga (idem). L'Apple era l'abbreviazione di Apple II o, come scrivevano i più esaltati, "Apple ][". Era il più modulare dei personal computer di quei tempi e, ironia della sorte, anche quello dall'architettura più aperta. Basti pensare che offriva al suo interno numerosi slot di espansione e tantissimi produttori esterni creavano specifici add-on per questo fortunato computer. Il Commodore Pet (quello, in alto, a forma di suora!!!) era, viceversa, tutto d'un pezzo. Incorporava tutto, dalla tastiera al monitor monocromatico-verde e in alcuni modelli, i primi, finanche il... registratore a cassette! Che non serviva per ascoltare la musica ma, incredibile per chi non c'era a quei tempi, per memorizzare alla meno peggio dati e programmi.
Già, quando accendevi uno di questi computer, a fronte di un "boot" pressoché istantaneo (il coso era subito pronto in tutto lo splendore della sua... vuotezza!) stavi poi alcuni minuti - a dita incrociate - in attesa del caricamento del programma e dei dati da registratore a cassette. Meno male che almeno in ambito "pro" questo scenario è durato poco: furono subito disponibili, con qualche milioncino in più di spesa, anche le potentissime unità a floppy disk che riducevano di un fattore almeno 10 i tempi di attesa e aumentavano a dismisura (altro che 10...) l'affidabilità del sistema nei confronti dei sistemi ad audiocassetta.
Poi c'erano, anche a quei tempi, gli amanti dell'informatica tascabile. Esistevano infatti già da qualche anno le cosiddette calcolatrici programmabili. Il relativo mercato era praticamente appannaggio di due soli competitor: Hewlett-Packard (oggi nota, sopratutto per stampanti e scanner, come HP) e Texas Instruments. Le prime, le HP, si programmavano attraverso un astruso linguaggio (dico così solo perché ero dell'opposta sponda... :-) denominato RPN, Notazione Polacca Inversa. Le TI, viceversa, si utilizzavano con il SOA o Sistema Operativo Algebrico. Per entrambe i programmini e i dati si salvavano su comode schedine magnetiche - visibili qui a lato - mentre vere e proprie espansioni ROM (Read Only Memory per chi fosse capitato qui sbaglio! :-))) permettevano di aggiungere programmi e funzionalità non volatili: non si perdevano in caso di spegnimento causale o voluto dell'apparecchio.
Inutile aggiungere che tutto si comandava tramite tastiere (appunto) da calcolatrice e il display era solo e soltanto numerico. Eppure ci giocavamo a battaglia navale, a golf, ci atterravamo sulla superficie lunare e molti altri ci costruivano ponti e palazzi. E non è uno scherzo! All'opposto estremo c'erano le prime discutibili interpretazioni (giapponesi) dei cosiddetti All-in-one, tutto in uno. Quello che potete ammirare qui a lato è il fantascientifico - per l'epoca - Oki IF-800, probabilmente il più grande concentrato (accozzaglia?) di tecnologia disponibile a portata di mano. Integrava un "doppio minifloppy, videografico a colori ad alta risoluzione con possibilità di dump sulla stampante incorporata ad 80 colonne, penna ottica, 10 tasti di funzione, tastierino numerico, tasti per il movimento del cursore". La penna ottica, sempre per chi non lo sapesse, permetteva di interagire direttamente con il computer attraverso lo schermo, per disegnare o semplicemente selezionare pulsanti e scritte a video.
Tutto il "marcantonio" era venduto in Giappone alla ragguardevole cifra di 1.500.000 yen, equivalenti a circa 9.000.000 di lire di allora... meglio che non vi do il corrispettivo in euro attualizzato trent'anni dopo perché qualcuno - a cominciare da me - potrebbe farsi male! Non era comunque necessario arrivare così lontano per devastare le nostre finanze dei primi anni '80. Un esempio più a portata di tiro era rappresentato dal sistema Corvus, nient'altro (nient'altro?!?) che un harddisk da 5,7 megabyte - avete letto bene, megabyte! - al quale era possibile collegare, volendo (inteso come "a suon di milioni aggiuntivi") anche 8 macchine simultaneamente per realizzare una piccola rete locale finalizzata alla condivisione di tale preziosa risorsa.
E se nel frattempo c'eravamo dimenticati dei registratorini a cassetta prima citati, il sistema Corvus permetteva (sempre a suon di milioni) con una scheda interna aggiuntiva di fare il backup dei preziosi dati su... videoregistratore!!!
"Ogni videocassetta, che costa circa 25.000 lire, può contenere circa 100 Megabyte pari a 20 volte il contenuto del disco, che può essere trasferito in meno di 10 minuti. Il software, che permette il trasferimento non solo dell'intero disco da 5 Mbyte ma anche dei singoli volumi, ha un sistema di controllo e correzione di errori estremamente potente. Infatti vengono registrate sulla videocassetta quattro versioni di ogni blocco (512 byte) che, al momento del trasferimento al CORVUS, vengono combinate in modo da formare un unico blocco senza errori". Bello no?!? :-)))
Dulcis in fundo...
Settembre 1981 è un mese e un anno da ricordare anche per un altro motivo... a me caro! Su quel fatidico n. 1 di MC, a pagina 26, ho visto per la prima volta (manifestando sin da subito un'irrefrenabile di voglia di possederlo... :-) quello che in Europa, di lì a poco, si sarebbe chiamato Commodore Vic-20.
In quelle pagine era mostrata la versione destinata al mercato giapponese, denominata VIC-1001: "è l'unità centrale integrata di un economico sistema personal espandibile con l'unità di interfaccia VIC-1010 in cui si inseriscono anche "cassette" di RAM disponibili in vari "tagli", 3, 8 o 16 K RAM, oppure un'interfaccia IEEE-488 od un programmers aid pack. Il videografico è naturalmente a colori, mentre come stampante è stata "carrozzata" VIC ancora una volta la Seikosha. Con il nome di 2020, il VIC sta arrivando anche in Italia distribuito, come gli altri prodotti Commodore dalla Harden. Sembra che sarà costruito in Germania."