EPSON HX-20: trent'anni fa!
In molti lo considerano il primo vero computer portatile, veniva dal Giappone ed era un concentrato di tecnologia.
Ebbene sì, non ho resistito alla tentazione. Del resto 74 euro, oggigiorno, che sono? Tanto (appena) mi è costato su Ebay questo pezzo da museo dei primi anni 80 - all'epoca costava 1.400.000 lire + IVA - che qualcuno identifica perfino come il primo computer portatile propriamente detto.
Già perché un tempo si faceva presto a dire portatile! C'erano al massimo i trasportabili, ovvero dei computer concentrati in una pesantissima valigia (come l'Osborne 1) che si utilizzavano sempre e comunque attaccati alla corrente, non certo alimentati a batterie ricaricabili come poi è avvenuto, di regola, solo qualche anno più tardi.
Tornando al cosetto di cui sopra, qui si tratta di un quasi-vero-computer (quindi non una semplice calcolatrice programmabile extra large) con un processore vero (per quei tempi) e memoria del tutto paragonabile a quella dei personal veri e propri. Decine e decine di KB di RAM e non una manciata di passi di programma (ricordate questa terminologia giurassica???) sufficiente si e no per imparare a programmare qualcosa.
Programmare, che bella parola. Anche questa finita, o quasi, nel dimenticatoio. Chi acquistava un computer trent'anni e più anni fa, nella stragrande maggioranza dei casi doveva provvedere anche a scriversi i programmi da solo. Tant'è che non poteva mai mancare uno o più linguaggi di programmazione a corredo (in primis l'indimenticabile - in tutti i sensi! - Basic) e una collezione spesso nutrita di manuali a corredo che svisceravano anche i segreti più reconditi del dispositivo elettronico in questione. Anche perché a quei tempi non c'era Internet - almeno come la intendiamo da una ventina d'anni a questa parte - e quindi la documentazione se non l'avevi non te la potevi certo andare a cercare da qualche parte... come ho fatto io in questi giorni, non senza commuovermi, per (re)imparare ad usare un affarino come questo. RUN... da quanto tempo non scrivevo RUN!!! :-)))
Clack-clack, altro che click-click!!!
A quei tempi - partiamo da questo... - con i computer non facevamo click. In compenso le tastiere, direttamente mutuate da quelle delle macchine da scrivere elettriche e/o dalle telescriventi avevano i tasti a corsa lunga, contraddistinta da un sonoro clack di (rassicurante) accompagnamento a seguito di ogni pressione.
Così anche il portatilino in questione, nonostante le sue ridotte dimensioni formato A4, sfoggiava una tastiera vera e anche sufficientemente completa. Con tanto di barra spaziatrice formato maxi, davvero enorme, tasti controllo cursore e finanche quelli funzione, preimpostati e riprogrammabili all'occorrenza.
Il display, a detta loro grafico, offriva una risoluzione di 120x32 pixel, tutti rigorosamente o bianchi o neri (nemmeno a livelli di grigio). Era sì a cristalli liquidi, ma mancava la benché minima retroilluminazione. A questi livelli di sofisticazione tecnologica non c'eravamo ancora arrivati.
Subito sotto un piccolo altoparlantino di sistema e ai due lati altrettanti fiori all'occhiello di questo piccolo-grande miracolo tecnologico. Una minuscola stampante ad aghi (con tanto di nastro telato in apposito micro-caricatore al suo interno, proprio come in quelle grandi) e un registratore a microcassette per memorizzare programmi e dati.
In realtà quest'ultimo era un optional, a pagamento. L'HX-20 aveva di serie le porte per collegare un registratore a cassette esterno, situate sul lato destro della macchina, accanto al generoso interruttore di accensione (sembra quasi un magnetotermico!!!), al regolatore del contrasto per il display (che evidentemente non era a matrice attiva!), al jack per il collegamento di un lettore di codici a barre e al pulsante (anche questo maxi) di reset. Da utilizzare, quest'ultimo, quando qualcosa non andava per il verso giusto: come dire che anche trenta e più anni fa le soluzioni estreme erano sempre le stesse!
Sul retro troviamo il comando di sblocco del modulo registratore a microcassette, l'ingresso per l'alimentatore che provvede anche alla carica della batteria interna (non sostituibile: nel mio esemplare, nonostante i trent'anni d'età, ancora mantiene) e due porte seriali. Una indicata con l'effige RS-232C (standard ma a bassa velocità) la seconda più performante e dedicata a periferiche proprietarie, come l'interfaccia per il video esterno e quella per l'unità floppy disk. Ebbene sì, erano previste anche queste!
Uno sguardo all'interno
Attraverso un portellino situato sul fondo, tenuto in posizione da due fermi meccanici, come fosse un vano pile, è possibile accedere alla memoria centrale. Ben (tenetevi forte...) 16 Kbyte di RAM e 32 Kbyte di Rom. Queste ultime saggiamente installate su zoccolo nell'ipotesi di futuri aggiornamenti... che non credo vi siano mai stati. O forse sì, visto che nell'esemplare in mio possesso una di queste è addirittura una EPROM.
Nello stesso vano tecnico è presente anche un gruppo dip-switch - nella foto qui a lato in alto a sinistra - per impostare il set di caratteri del proprio paese. Incredibile, c'era (e l'ho subito impostato... non si sa mai!) anche l'italiano, con le sue belle e rassicuranti vocali accentate. Se però vogliamo farci un'idea più esaustiva di com'era l'elettronica digitale trent'anni fa dobbiamo penetrare maggiormente all'interno: indossiamo l'elmetto, che è meglio!
Per accedere alla circuiteria tutta basta svitare un po' di viti come quelle che potremmo tranquillamente trovare dal ferramenta sotto casa. Così scopriamo che dentro di roba ce n'è davvero tanta, a dimostrazione del fatto che l'integrazione - nonostante troviamo quasi solo circuiti integrati - doveva ancora fare molti passi avanti. Troviamo, tra le decine di chip, due microprocessori, entrambi CMOS: uno era/è dedicato all'elaborazione vera e proprio, l'altro alla gestione dell'input/output tra i vari dispositivi.
Il display ha a sua volta un proprio circuito stampato (e relativa microelettronica marchiata Nec) e i vari componenti interni, compresa la tastiera e la micro stampante, sono tutti collegati tra loro attraverso generosi, quanto robusti, flat cable. Non come quelli apparsi più di recente nei dispositivi ultraminiaturizzati (come i moderni notebook ultraslim), che sembrano rompersi semplicemente guardandoli!
Infine è presente all'interno, ovviamente, anche il pacco batterie ricaricabili (quattro elementi al nichel-cadmio in serie) collegato alla piastra madre tramite un semplice connettore bipolare: evidentemente la possibilità di sostituzione tramite centro assistenza tecnica era comunque prevista.
Che sollievo... :-)))