Smartwatch, la «nuova» malattia?
Quella degli orologi intelligenti sembra l'ennesima 'ultima moda' ma in realtà affonda le sue radici alcuni decenni fa.
Qua so' tutti intelligenti... praticamente il contrario di cca niusciuno è fesso!. Fatto sta che dopo i forni a microonde, la lavastoviglie e le lavatrici pensanti, i telecomandi audio-video programmabili e nucleari, i telefoni (più o meno) intelligenti e i futuri occhialetti ipertecnologici tuttofare (anche troppo...), la nuova promessa minaccia per le nostre tasche (quando diventeranno intelligenti anche queste?) si chiama smartwatch che in molti credono invaderanno il mercato da qui ai prossimi mesi/anni.
Manca, certo, il la di Apple, che ufficialmente (sì, vabbè!) non sembra molto interessata alla cosa... ma, si sa, mai dire mai e non è escluso affatto che anche la casa di Cupertino possa presto incuriosirsi in tal senso: in molti, me compreso, non hanno dubbi. Fatto sta, comunque, che a ben guardare gli smartwatch non sarebbero una vera e propria novità del momento. Potremmo quasi dire che sono sempre esistiti, almeno da quando la moderna tecnologia da polso ha abbandonato (se non per gli orologi di lusso) molle, ruote dentate, camme e bilancieri per concentrarsi sui flussi, ordinati e precisi al millesimo, di bit. Certo, bisogna intendersi su prefisso smart, ma questo è un problema di sempre... :-)
L'orologio digitale
Dall'alto - o dal basso... - dei miei poco più che cinquant'anni d'età, come molti ho vissuto di persona l'avvento del digitale sin dai tempi - anni '70 - delle scuole medie e del liceo. I computer, come li intendiamo oggi, non c'erano ancora nel senso che al massimo erano a disposizione di alcune università, delle banche più moderne e dei pochi centri di calcolo in ambito civile e soprattutto militare.
A quei tempi, oltre alle calcolatrici elettroniche (programmabili e non) erano assai di moda gli orologi digitali, che molti pensavano si chiamassero così a causa del fatto che per vedere l'ora bisognava usare il dito per accendere il display, rigorosamente a LED rossi (e consumosi...) nei primi esemplari. Solo dopo arrivarono anche le versioni LCD che visualizzavano costantemente l'orario, senza bisogno di agire manualmente, ma che erano (ovviamente) non meno digitali dei primi. Tra l'altro, se è vero, come è vero, che digitale deriva dall'inglese digit (cifra) altrettanto falsa fu la convinzione, subito successiva, che tali orologi si chiamassero così perché mostravano numericamente l'orario.
Come noto la digitalità di questi dispositivi è principalmente all'interno, in quanto il trascorrere del tempo avveniva (immagino avvenga tuttora... :-) per mezzo di un contatore digitale (appunto) abilmente e scrupolosamente incrementato da un oscillatore al quarzo che garantisce frequenze assai più precise di quelle dei preesistenti circuiti oscillatori analogici (RC, se non vado errato), che pure furono utilizzati nei primissimi orologi elettronici, come l'indimenticato, per me, Timex Electric ricevuto anni addietro come gradito regalo di prima comunione! :-)))
Viceversa qualcuno ebbe addirittura la faccia tosta di ostentare pubblicamente questa (mala)convinzione, producendo in Svizzera orologi meccanici - molle, bilanciere, rubini, ruote dentate, ecc. - marchiandoli Digital, come visibile in foto, per il semplice fatto che indicassero l'orario direttamente in cifre invece che in posizioni di lancette. Cose proprio di un altro mondo...
Primi vagiti smart
Gli orologi digitali-a-dito, ovvero a LED, durarono tutto sommato poco. Erano troppo avidi di corrente - la pila interna costicchiava pure... - e troppo scomodi da utilizzare: il dover premere ogni volta il tastino per visualizzare l'orario fu presto considerata un'assurdità e, come detto, arrivarono in massa gli orologi LCD. Preso atto, ordunque, che potevamo disporre di una visualizzazione constante, il passo successivo fu naturalmente quello di aggiungere via via nuove funzioni, tutte quelle che fantasia (e mamma tecnologia) permetteva.
Si partì con gli orologi con cronografo (e rilevazione del tempo parziale, prima sofisticazione con memoria) per arrivare via via a soluzioni più evolute, dagli orologi in grado di commutare facilmente da un fuso orario all'altro (Seiko Pan-Am, secondo a sinistra) per proseguire con l'aggiunta di allarmi-sveglia (terzo esemplare) fino agli orologi da polso che integravano, addirittura, una calcolatrice a spillo (quarto da sinistra, l'ho avuto!) o un completo calendario per memorizzare, immagino, anche gli appuntamenti (quinto e ultimo).
Uno dei primi esperimenti di orologio voglio di più è stato il Seiko DATA2000, dotato di un'ingegnosa tastiera esterna tramite la quale era possibile inserire i dati nell'orologio. Il numero 2000 nel nome del dispositivo indicava la capacità di memorizzazione in caratteri, pari dunque a paio di Kbyte. Fu lanciato nel 1983, ma non so dirvi quanto successo riscosse: personalmente non l'ho mai visto prima in vita mia: è frutto di una ricerca su Google in vista di questo articolo.
Ingegnoso, per quei tempi, il collegamento wireless tra orologio e tastiera, che avveniva attraverso un sofisticato accoppiamento elettromagnetico tra le parti. Bastava appoggiare il primo nell'apposita sede affinché fosse instaurata la comunicazione. Non so perché :-))) ma mi fa pensare all'odierno interfacciamento NFC, che a quei tempi nessuno immaginava.
Sempre di Seiko (scusate la monotonia, ma non dipende dal sottoscritto...) fu anche il primo orologio interfacciabile al computer: il Wrist Terminal RC-1000, del 1984. Disponeva di un'interfaccia seriale RS-232C e di software per diverse piattaforme: Apple II, Commodore 64; IBM PC e compatibili, NEC 8201, Tandy Color Computer e TRS-80. Tramite computer era così possibile caricare i dati in memoria, anche in questo caso per complessivi 2000 caratteri.
Da segnalare, infine, che non esisteva un'unica versione multipiattaforma, ma a seconda del computer tramite il quale l'avremmo utilizzato era necessario acquistare lo specifico kit: orologio + cavo + software. Non c'è da meravigliarsi troppo di ciò: a quei tempi al massimo si aveva a che fare in casa (e per molti anni) con un unico computer!
Una trentina d'anni dopo...
Al giorno d'oggi gli smartwatch, come noto, sono per lo più appendici wireless del proprio smartphone, con il quale rimangono in collegamento continuo tramite protocollo di comunicazione bluetooth.
Apripista è stato, nel 2010, il Sony Ericsson LiveView grazie al quale era possibile leggere sul proprio polso gli SMS, vedere chi ci sta chiamando al telefono, scegliere i brani musicali da ascoltare (con gli auricolari inseriti nello smartphone) e finanche installare delle microapplicazioni specificatamente realizzate per il dispositivo e disponibili gratuitamente sull'allora Android Market (ora Google Play).
A dispetto del nome, anzi del cognome, il LiveView poteva essere collegato a qualsiasi cellulare Android (quindi non soltanto ai Sony Ericsson) grazie ad un'apposita App disponibile gratuitamente sul Market e compatibile con la stragrande maggioranza degli smartphone basati su tale sistema operativo mobile. Incredibile a dirsi, ma il LiveView come moltissimi - non tutti, come vedremo... - suoi successori, è digitale :-))) nel senso che per mostrare i contenuti sul piccolo display da polso è necessario premere un apposito tasto. Esattamente come avveniva trenta/quaranta anni prima con i primissimi orologi a LED rossi di cui s'è parlato in apertura.
Successore, sempre in casa Sony, è stato lo SmartWatch che dispone di un display a più alta risoluzione, con capacità multitouch e micro-app migliorate. Anche questo compatibile con qualsiasi telefono Android e non solo con i modelli Sony. A seguire lo SmartWatch 2, ancora più interessante (mostrato in apertura), che arriverà sul mercato nelle prossime settimane, in contemporanea o quasi al (discutibile) Samsung Galaxy Gear, di cui parleremo più avanti.
Pebble, di lunga durata!
Assai diverso da tutti gli altri, il Pebble E-Paper Watch, come il suo stesso nome lascia intuire, offre un display a visualizzazione continua, come quello presente sugli ebook reader. Naturalmente non è a colori, ma offre un'eccellente visibilità in ogni condizione di luce, anche al buio completo grazie alla retroilluminazione integrata, attivabile all'occorrenza tramite tasto o scuotendo il polso grazie ai sensori di luce ambiente e d'accelerazione presenti al suo interno.
Resiste all'acqua fino a 5 atmosfere, 50 metri, e proprio grazie al tipo di display utilizzato (ePaper) offre un'autonomia di utilizzo continuo (display sempre attivo) di circa 7 giorni: non male. È nato grazie a una raccolta fondi attuata via Internet (Crowdfunding) per oltre dieci milioni di dollari ad opera di quasi 70.000 aspiranti possessori. Infine, per la serie volemose bbene! :-))) è compatibile tanto con Android che, rullo di tamburi..., con Apple iOS.
i'm Watch, questo sconosciuto
Sei una persona dinamica, intraprendente e ti piace circondarti di cose belle? i’m Watch è il tuo compagno ideale. Non serve chiederti il perché: guardalo. Semplifica e velocizza l’utilizzo del tuo smartphone, mettendoti al polso tutto ciò che ti serve, ogni volta che ti serve. Una volta che lo provi, ti chiedi perché nessuno ci abbia mai pensato prima. i’m Watch è l’oggetto del desiderio di cui non puoi fare a meno. E per fortuna, è un desiderio che chiunque, può realizzare.
Con queste belle parole viene descritto, sul loro sito ufficiale, questo prodotto dalle origini - dicono - totalmente italiane. Lo definiscono anche come il primo vero smartwatch, ma almeno su questa affermazione un po' di dubbi rimangono. Permette di avere - consentitemi di aggiungere un come al solito - a portata di polso le chiamate telefoniche (nel senso che viene visualizzato il chiamante, possiamo decidere se rispondere o chiamare digitando il numero o accedendo alla rubrica); di leggere gli SMS in arrivo così come le email; di gestire eventi e appuntamenti sincronizzati con il calendario presente nello smartphone (Android o iOS) cui si collega, ri-come-al-solito, tramite bluetooth.
Utilizza un proprio sistema operativo da polso, una versione custom di Android denominata i'm Droid 2, che gli permette di vivere anche vita propria, senza necessità di collegamento allo smartphone: in altre parole non è solo un'appendice digitale di quest'ultimo. Viceversa può collegarsi allo stesso in tethering per condividere la connessione ad Internet da sfruttare direttamente tramite lo smartwatch. Infine esistono molte applicazioni preinstallate o da installare da apposito market, eseguite direttamente sullo smartwatch, che si interfacciano via bluetooth anche con altri dispositivi (come cardiofrequenzimetri, contapassi e altri sensori) ad esempio per monitorare le proprie attività fisiche e sportive. Ah, però! :-)
Samsung Galaxy Gear
Ultimo in ordine di apparizione (è stato presentato al recenti IFA di Berlino) il Samsung Galaxy Gear è di sicuro un prodotto molto interessante con tanti pregi e probabilmente un unico, ENORME, difetto. Non funziona con qualsiasi smartphone Android e nemmeno con tutti quelli di casa Samsung: è collegabile, al momento (non sappiamo se la cosa cambierà o meno) solo con il neonato Note 3, presentato anch'esso alla recente kermesse berlinese.
Peccato, perché di per sé non sarebbe malaccio. Integra, tra l'altro, anche una fotocamera da 1.9 Mpixel inserita nel cinturino e grazie al microfono e all'altoparlante incorporato permette anche di effettuare le telefonate in viva voce, sempre per il tramite dello smartphone, così come impartire comandi vocali per controllare orologio e telefono. Ottimo, infine, il display da 1.63 pollici in tecnologia Super AmoLED e risoluzione 320x320 pixel a 220 dpi.