dT n.09/2023 del 20.01.2023
Cornice stile Ritorno al futuro
AUG 12 1981


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Il Computer Con Le Maiuscole

Pietra miliare della recente storia informatica il primo personal computer di Big Blue non poteva che chiamarsi IBM Personal Computer.

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Parliamo, ancora, dei fantastici anni 80. A quei tempi, come molti di noi possono testimoniare, nel mondo dell’informatica (personale) regnava incontrastato il caos. Di fatto non esisteva ancora, nel bene e nel male, la gabbia della compatibilità e quindi chiunque poteva inventarsi un personal computer. Lo inventava e lo scaraventava sul mercato: se aveva successo, bene, se non ne aveva… nuovo giro e nuovo possibilità di vincere (o di ri-perdere). Di prodotti fallimentari, si sa, ne abbiamo visti anche dei marchi più blasonati, alcuni tuttora esistenti e più che stra-vivi e stra-vegeti. Uhm!

Immagine_inlineIn quel dannato caos, un bel giorno - 12 agosto 1981 - scende in campo IBM, fino a quel momento conosciuta più che altro per i suoi mainframe, come il famosissimo IBM 360 che occupava (tra unità centrale, periferiche, terminali) un intero stanzone. Quasi a voler rappresentare una pietra miliare della recente storia informatica il primo personal computer di Big Blue non poteva che chiamarsi in un solo modo: IBM Personal Computer, volutamente scritto con la P e la C maiuscole.

La memoria di massa era rappresentata da una o due unità floppy disk da 5.25 pollici (singola faccia) per complessivi 160 o 320 KB di capacità massima. Inutile dire che a quei tempi non circolavano diffusamente personal computer dotati di hard disk e quando se ne sentiva nominare uno, visti gli altissimi costi, era spesso un dispositivo esterno condiviso - tramite architetture proprietarie - da più macchine.

Era basato sul processore Intel 8088 con architettura interna a 16 bit (gli altri, a quei tempi, erano quasi tutti a 8 bit), clockato a ben 4.77 MHz e poteva contare su una memoria RAM da 16 KB espandibile a 256 (più o meno quanta ne troviamo oggi in un forno a microonde non troppo pensante).

Immagine_inline Il monitor, pressoché privo di aspirazioni grafiche, era normalmente monocromatico a fosfori verdi, ma per chi era disposto a spendere qualche soldino in più esisteva anche la versione a colori, con la quale ci si poteva sbizzarrire: si riusciva a visualizzare i caratteri in BEN sedici tonalità cromatiche differenti. Da non crederci.

Altrettanto incredibili, ai giorni d'oggi, i prezzi di vendita di allora. Si partiva dal modello base (16 KB di memoria, senza video e senza floppy, quindi del tutto inutilizzabile… a meno di non collegarlo al TV e al registratore a cassette, e non è uno scherzo!) venduto a poco più di 1.500 dollari, per arrivare ai circa 4.500 della versione completa di monitor, due floppy disk e stampante: una classica EPSON MX-80 (ad aghi). Eppure, quello scatolone ha segnato la storia dell'informatica personale e, checché ne dicano i distratti, non c’è oggi computer sulle nostre scrivanie (o tra le nostre mani o nelle nostre tasche) che non porti in sé qualche minima traccia del suo originario DNA.

AdP

Tratto da #ADPbook2023 - Operazione nostalgia.

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Andrea de Prisco - AdP

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