P... come PowerBook
Due anni. Sono passati appena due anni dal Macintosh ''Portable'', virgolette d'obbligo, alla linea PowerBook che ha capovolto il mercato.
Correva l’anno 1991 e al Comdex di Las Vegas, in uno stand Apple di fuoco (posso testimoniarlo), al grido di The REVOLUTION continues… è apparso il megadirettore galattico della Casa di Cupertino, John Sculley. Mostrava orgogliosamente il neonato PowerBook 100: il più piccolo e per me il più interessante dei tre modelli presentati in quell’occasione. Come già detto non erano ancora i tempi del MacBook Air sfilato da Jobs da una sottile busta di carta… ma il piccolo passo era stato fatto e quella era l’impronta indelebile lasciata.
I modelli, dicevo, erano tre: due più performanti basati sul 68030 a 16 e 25 MHz, uno più piccolo e compatto con il 68000 a 16 MHz, che Zia Wiki lo etichetta come subnotebook, giudizio per me affrettato! La tastiera ad esempio era di formato standard, idem per il monitor del tutto paragonabile a quello di molti altri NB dell’epoca e il fatto che non fosse presente un drive FD integrato non credo potesse, questo, rappresentare un problema. Anzi!
A colpire non erano questi dettagli secondari, ma le caratteristiche ergonomiche che rappresentavano la vera svolta offerta dai tre prodotti. A cominciare dalle dimensioni particolarmente contenute - ci stavamo ancora riprendendo da quelle esagerate dell’anziano Portable - specialmente per il modello inferiore con un peso di soli 2.3 kg (batterie incluse) e impronta leggermente inferiore a quella un foglio A4.
Ma la genialità stava nell’arretramento - mai visto prima - della tastiera a ridosso del display per far spazio a un’area lato utente in grado di ospitare al centro la trackball (finalmente) integrata, lasciando spazio anche ai polsi che potevano così avere un comodo appoggio durante la digitazione. Infine, sempre lato ergonomia, due piedini retrattili inclinavano all’occorrenza il tutto verso l’utente, rendendo ancora più comodoso (vi ho sbloccato un ricordo?) l’utilizzo da scrivania degli stessi. Del resto dove sta scritto che i laptop, checché ne dica la traduzione, si usino solo sulle gambe?
Peraltro la trackball lì al centro, prima della tastiera, aveva anche un altro piccolo-grande vantaggio: era sempre a portata di mano, anzi di dita. In pratica durante la digitazione la palletta era lì, sotto ai pollici, pronta per ogni spostamento del puntatore. Idem per i tasti-mouse, dove l’utilizzo del plurale era dovuto alla semplice duplicazione, per comodità, dell’unico previsto all’epoca dai sistemi Mac. Finezze!
Dopo trent’anni, guardando qualsiasi notebook di oggi noterete ancora la tastiera dove Apple ha deciso di spostarla e se state pensando sì, ma la trackball è sparita! ricordo che anche il trackpad che troviamo al suo posto è arrivato da Cupertino, con la successiva serie 500 presentata circa tre anni dopo.
Tornando alle caratteristiche tecniche, nel PowerBook 100 (il piccolino: scusate se insisto, ma avevo proprio un debole per questo modello… l’ho anche avuto mio per un paio d’anni) era presente un HD da appena 20 megabyte, scelta solo commerciale di Apple, mentre il floppy disk, come detto, era esterno e fornito a corredo. Veniva utilizzato più che altro per trasferire file dal mondo MS-DOS in quanto per il trasferimento da e verso quello Mac si faceva molto prima con AppleTalk, la rete proprietaria di quell’Universo. Se poi volevamo strafare - o sentirci più fighi - era anche possibile usare la porta SCSI per collegare il PowerBook a un sistema fisso Mac e vedere l’hard disk del portatile come periferica esterna di quest’ultimo. E soprattutto, scherzi a parte, compiere il trasferimento a velocità nettamente superiore rispetto alle porte seriali utilizzate dalle saponette di allora.