E Perottina fu!
Con la nascita della Olivetti Programma 101 - un successone tutto italiano! - l'informatica «in camice bianco» iniziò ad avere le ore contate.
Olivetti, con la sua storia lunghissima, può ricordare molti prodotti o periodi. Per me da bambino le Olivetti erano più che altro le macchine per scrivere e le calcolatrici elettromeccaniche da tavolo, successivamente i computer desktop post PC IBM (M20, M19, M24, ecc.). Non mancarono i trasportabili come l’M21, gli economici Prodest, i dispositivi portatili come l’M10 - pur essendo quest’ultimo un prodotto non troppo italiano - o i più recenti, si fa per dire, Quaderno e Quaderno 33.
Più indietro, Perottina era il soprannome della «calcolatrice da tavolo programmabile» progettata dall’Ing. Pier Giorgio Perotto e dal suo team. Molti, però, identificano la Olivetti Programma 101 - questo il nome ufficiale - come il primo computer desktop della storia. Finalmente si poteva utilizzare un dispositivo programmabile sul proprio tavolo e non più attraverso un terminale collegato con una unità centrale, quando andava bene grande come un frigorifero, ma nelle maggior parti dei casi occupante un’intera stanza. Che nel 101% dei casi NON era quella accanto nel proprio appartamento.
Dopo la presentazione alla Fiera Internazionale di New York, nell’ottobre 1965, oltre a quella del pubblico in genere non tardarono le attenzioni della NASA. Ne acquistarono ben 45 per calcolare e studiare le traiettorie della missione Apollo 11 che, come sanno pure le pietre (lunari), portò nel 1969 Neil Armostrong e Buzz Aldrin sulla Luna. A proposito, 101 pare fosse stato scelto perché suonava bene in inglese, quindi era da leggere come one-o-one e non come centouno. Uhm…
La parte però più interessante del nome era Programma che indicava, appunto, il non trascurabile dettaglio di essere programmabile… il che la posizionava ben al di fuori/sopra delle normali calcolatrici da tavolo. Poteva contare su appena 240 byte di memoria, ci torniamo, e su un linguaggio di programmazione simil-assembler formato sì da poche istruzioni, ma tra queste c’erano anche gli indispensabili salti condizionati e incondizionati.
Istruzioni e dati potevano essere memorizzati su card magnetiche, che rappresentavano anch’esse una svolta tecnologica. La pista era posizionata lungo il bordo lungo così le card potevano essere capovolte per utilizzarle una seconda volta raddoppiandone la capacità.
La memoria centrale della Perottina - tenetevi forte! - era quanto di più lontano potremmo immaginare oggi. Tecnicamente detta a linea di ritardo questo tipo di memoria - già diffusa a quei tempi giurassici: non era un brevetto specifico di Olivetti - può essere idealmente assimilata a una normale corda oscillante sulla quale vengono memorizzati, con perturbazioni alla corda stessa, i bit di informazione. Ovviamente nel caso della Perottina e di altri computer preistorici non si trattava di una corda intesa come grosso spago, ma un filo metallico lungo 6-7 metri, avvolto su se stesso ad anello, sul quale viaggiavano meccanicamente (non elettricamente) le informazioni digitali alla velocità di propagazione specifica di quel materiale.
Più nel dettaglio, la scrittura avveniva grazie a perturbazioni meccaniche innescate da un trasduttore a effetto magnetostrittivo che provocava, fisicamente, microscopiche variazioni dimensionali o torsionali che si propagavano lungo il filo metallico. Bit, peraltro, che a ogni giro andavano letti e impulsati nuovamente per tenerli in vita, dato che strada facendo perdevano la loro forza. Dovrebbe essere anche chiaro che si trattava di accesso sequenziale ai dati - e incidentalmente perché le altre si chiamino RAM, Random Access Memory - ma la velocità non era quel disastro che si potrebbe immaginare. Conti alla mano (velocita di propagazione specifica di quel materiale, lunghezza del supporto, capacità dello stesso) parliamo di un tempo di accesso medio al singolo bit, nel caso della Perottina, di un millisecondo o poco più.
Ah, però!