HP Integral PC, la belva…
Più di dodici kg di «trasportatile» e ti passa la paura! O forse ti sale, diciamo saliva, quando decidevi spostarlo da un luogo all'altro.
Nonostante questo nel luglio ‘85 su MC era assolutamente normale leggere: «Il 9807A, questa la sua sigla ufficiale, è una macchina facilmente trasportabile, che pesa solo dodici chili e mezzo, particolarmente compatta, tanto da poter trovare posto su di un tavolo rimpiazzando la macchina per scrivere». Che paragoni!!!
Anche sul particolarmente compatta dovremmo (ri)parlarne, ma andiamo oltre… anche perché se facessi, io, del body shaming sarebbe troppo ridere! L’HP Integral PC era, semmai, una vera e propria bomba: probabilmente poco conosciuta ai più per l’alto prezzo di vendita - in Italia costava quanto l’equivalente di tre/quattro Macintosh! - ma questo esula dalla valutazione in sé della macchina.
Né MS-DOS né CP/M
Il primo dettaglio non trascurabile - e che, sinceramente, avevo rimosso - riguardava il fatto che non si trattava né di una macchina MS-DOS, né tantomeno CP/M. Per la prima volta, in un prodotto di questo tipo, a comandare al suo interno dentro c’era nientepopodimeno che Unix. Se non lo stesso di molte workstation dell’epoca (e dell’epoche future) era parente stretto di quello presente nei sistemi HP d’alto bordo, come i vari HP 9000 e compagnia calcolante, ai quali collegavamo, anzi collegavano, fior di terminali.
Era un sistema operativo realmente multitasking, cosa abbastanza sconosciuta ai più in quel periodo. Pur consapevole che ci azzecchi poco o nulla con questo bestio, non posso non ricordare che di lì a poco sarebbe arrivato il Commodore Amiga, il primo personal computer per tutti e in grado di offrire ai suoi utenti questa inattesa magia.
Tornando all’Integral PC, oltre ad avere una stampante inkjet incorporata, utilizzava un innovativo display elettroluminescente (ELD). Quest’ultimo, per via del suo alto consumo energetico, rappresentava un’ulteriore giustificazione al fatto che l’Integral PC non fosse un portatile autoalimentato, ma solo un trasportabile. Come ci spiega Zia Wiki, l’ELD «… funziona eccitando gli atomi - di un gas, ndr - facendo passare una corrente elettrica attraverso di loro, provocando in questo modo l’emissione di fotoni. A seconda del tipo di materiale eccitato si può cambiare il colore della luce emessa. L'ELD vero e proprio è costruito utilizzando strisce di elettrodi piatte e opache che corrono parallele l'una all'altra, ricoperte da uno strato di materiale elettroluminescente, seguito da un altro strato di elettrodi che corre perpendicolarmente allo strato inferiore. Questo strato superiore deve essere trasparente per far fuoriuscire la luce. Ad ogni intersezione, il materiale si illumina, visualizzando un pixel». Semplice, no?!?
Rottura col passato
Il processore era il Motorola 68000, assistito da un processore grafico per le attività di questo tipo, a sua volta corredato di 32 KB di memoria dedicata. La RAM di sistema - che poteva anche essere configurata per il salvataggio temporaneo di file - partiva, viceversa, da 512 KB e poteva essere aumentata internamente fino a 2,5 MB complessivi.
Nella sua ampia dotazione ROM, 256 KB, trovavamo sia buona parte del sistema operativo HP UX (la macchina era subito pronta pochi instanti dopo l’accensione) sia alcuni componenti software non secondari. A partire dall’ormai consueto HP Personal Application Manager che, nella macchina in questione, si poteva comandare anche tramite un mouse, venduto come opzione a più di 400.000 lire (!!!). Costo del dispositivo a parte, rappresentava a sua volta un ulteriore elemento di svolta: c’era infatti anche un embrione di interfaccia utente semigrafica (HP Windows Manager) tant’è che le applicazioni - plurale multitaschis - in esecuzione si gestivano tramite finestre: se ne potevano aprire fino a sei contemporaneamente, posizionabili e ridimensionabili a piacere all’interno dell’area complessiva visualizzata.
Tutte cose scontate. Oggi.