Articolo pubblicato sul n. 143 di
MCmicrocomputer
(Edizioni
Technimedia Srl - Roma) nel settembre 1994
Digital
Imaging:
L'elaborazione digitale
delle immagini
di
Andrea de Prisco
Prendete
una macchinetta fotografica, un rullino, una bella giornata
di sole e approfittatene per farvi una divertentissima gita
con gli amici o un'appassionante passeggiata con la vostra
dolce meta'. Che siate interessati anche al mondo dei
computer e' evidente, altrimenti non stareste a leggere
queste righe.
Se siete appassionati anche di fotografia
probabilmente la "macchinetta fotografica" e' una buona
reflex con qualche obiettivo di varie focali, di rullino ne
consumerete piu' d'uno, soffermandovi maggiormente sulla
ripresa delle vostre immagini, piuttosto che compiere
l'operazione terribilmente di corsa. Fine della gita.
All'indomani portate a sviluppare le vostre pellicole e vi
gustiamo i risultati. Magari maledicendo quell'orribile
traliccio che offende la vostra immagine, oppure stupendovi
(capita spessissimo...) per non aver visto
quell'antiestetico particolare sullo sfondo, alle spalle del
soggetto, che ha rovinato (se non addirittura ridicolizzato)
la vostra ripresa. Che palle!
Questo, per quel che riguarda la composizione di
un'immagine. Ma i problemi, a meno di non essere dei
fotografi bravissimi, da concorso fotografico ed anche piu',
non sono certo circoscritti al solo aspetto compositivo. Si
va dalla dominante cromatica indesiderata (fotografia
scattata al tramonto, in cui il soggetto non e'... il
tramonto), alla errata esposizione (anche gli apparecchi
fotografici piu' evoluti non sono infallibili), o ad una
tecnica di ripresa adoperata non del tutto efficace per il
risultato voluto.
Alcuni laboratori fotografici tradizionali, per la verita',
offrono anche la possibilita' di intervenire sull'immagine
per cercare di correggere alcuni errori, ma a parte l'alto
costo di tali operazioni, i risultati ottenuti non sempre
sono soddisfacenti.
Ma avete mai pensato che, con un computer, tutto questo (e
molto di piu', per la verita') diventa di una facilita'
incredibile? Certo, non si tratta di una novita'; ma fino a
pochi anni fa per effettuare l'elaborazione digitale di
un'immagine era indispensabile possedere una potente
workstation grafica, mentre oggi, grazie anche alla
disponibilita' perfino shareware di alcuni programmi, tutto
diventa alla portata del normalissimo utente di personal
computer.
In questo articolo, dopo una brevvissima introduzione
all'argomento dal punto di vista tecnico, vi mostreremo
alcuni esempi di elaborazione, effettuati partendo da
immagini assolutamente tradizionali, stampate su carta e
digitalizzate tramite scanner. E' stata un'esperienza
divertentissima per tutti noi in redazione, al punto che (in
quattro e quattr'otto, siamo al 20 luglio) abbiamo deciso di
portare una stazione di elaborazione digitale delle immagini
(basata su Power Macintosh) all'interno del nostro stand al
prossimo SMAU (dal 13 al 18 ottobre prossimo) per farvi
toccare con mano questo nuovo mondo. Se avete qualche
fotografia da elaborare o da correggere, portatela pure: vi
restituiremo una stampa a getto d'inchiostro dell'immagine
modificata e, volendo, anche il file se siete interessati a
rivolgervi ad un laboratorio per la fotorestituzione su
pellicola. Non mancate!
L'immagine digitale
Oggi,
all'interno di un computer, come noto, bit e byte non
rappresentano soltanto numeri, lettere, istruzioni di
macchina, ma anche (soprattutto?) immagini. Esiste, se
vogliamo, un diretto parallelismo tra le comuni immagini
fotografiche (stampate su carta o ancora su pellicola
negativa o diapositiva che sia) e le immagini digitali
bitmap. Sia le prime che le seconde sono caratterizzate dal
fatto di essere composte da migliaia (o sarebbe meglio dire
milioni) di minuscoli elementi colorati: si parla di grana
per le pellicole (o le stampe) fotografiche e di pixel (picture
element) per le immagini digitali. L'unica differenza
"visiva" (sempreche' utilizziamo un microscopio o comunque
una potente lente d'ingrandimento) riguarda il fatto che la
grana e' qualcosa di irregolare (in ogni immagine
tradizionale i granuli hanno forma e dimensione variabile)
mentre i pixel di un'immagine digitale hanno tutti la
medesima dimensione (l'unica cosa che puo' variare e' il
colore) e sono disposti regolarmente, come tanti
microscopici mattoncini.
Bisogna poi tener presente che un'immagine fotografica
tradizionale puo' stare su una diapositiva, su una pellicola
negativa, puo' essere stampata su carta, o uscire
direttamente dall'apparecchio se e' di tipo Polaroid.
L'immagine digitale, invece, non e' altro che un grosso
insieme di numeri nella memoria di un computer, su un
dischetto magnetico, su un nastro, e' visualizzabile sul
monitor in qualsiasi momento, e puo' facilmente essere
trasmessa via cavo ad un altro computer o alla stampante per
disporre di una sua rappresentazione su carta.
Rappresentazione digitale di un'immagine
Nel
rappresentare digitalmente un'immagine fotografica, oltre
alle sue dimensioni e alla sua risoluzione (numero di pixel
per pollice), e' necessario stabilire quanti colori vogliamo
o possiamo utilizzare. Rispetto alle immagini fotografiche
tradizionali, troviamo qui una prima fondamentale
differenza: di una pellicola fotografica possiamo misurare
la sensibilita', la fedelta' cromatica, la latitudine di
posa (la tolleranza rispetto ad eventuali errori di
esposizione), volendo la dimensione della grana (anche se
qui c'e' di mezzo il trattamento chimico successivo ad opera
del fotolaboratorio), ma non e' assolutamente possibile
stabilire su una pellicola fotografica quanti colori
riusciamo a "catturare". Ce la potremmo cavare tout court
affermando candidamente che sono infiniti, cosi' come sono
infiniti i colori in natura.
In un'immagine elettronica ad ogni pixel e' associato un
certo numero di bit. Piu' bit dedichiamo ad ogni pixel piu'
colori riusciamo a visualizzare. Se la nostra immagine e'
composta da soli bianchi e neri (come un'immagine ad
altissimo contrasto, lith per chi se ne intende) e'
sufficiente un bit per ogni pixel: ad esempio un bit a 0 per
ogni pixel bianco e un bit ad 1 per ogni pixel nero. Se ad
ogni pixel associamo piu' bit, possiamo creare la nostra
immagine digitale utilizzando sfumature di grigio o colori.
Ad esempio associando due bit per ogni pixel avremo la
possibilita' di codificare (e quindi utilizzare) quattro
colori o livelli di grigio. Piu' bit associamo ad ogni
pixel, piu' colori potremo codificare e quindi trattare
digitalmente, memorizzare, visualizzare. Ovviamente un
maggior numero di bit comporta sia una maggiore occupazione
in memoria dell'immagine digitale, sia una gestione piu'
pesante e laboriosa quando bisogna in qualche modo eseguire
un trattamento digitale (effetti post-ripresa, tipo camera
oscura, correzioni cromatiche, elaborazioni digitali varie
ecc.ecc.). Se con appena 256 colori (8 bit per pixel)
riusciamo ad avere una prima idea delle caratteristiche
cromatiche della nostra immagine, per non scendere
assolutamente a compromessi, dovremo utilizzare almeno 24
bit per pixel che ci permettono di utilizzare oltre 16
milioni di colori. Grazie al fatto che l'occhio umano
difficilmente riesce a notare differenze tra un'immagine a
16 milioni di colori e un'immagine reale a infiniti colori,
tale tecnica e' detta "true color" (colore reale).
Naturalmente ogni possibile soluzione intermedia puo' essere
considerata, compresa la possibilita' di utilizzare solo 16
bit per pixel (pari a 32.768 possibili colori) con i quali
si riesce ad ottenere una rappresentazione molto fedele,
spesso poco distinguibile (anche per colpa dei monitor a
colori per nulla perfetti) da quella canonica a 24 bit.
La
camera "chiara"
Visto
che per trattare le nostre immagini non abbiamo piu' bisogno
di bacinelle, pinzette, soluzioni chimiche, ingranditore
e... buio assoluto, potremmo indicare con camera chiara il
moderno laboratorio di chi si occupa di elaborazione
digitale delle immagini.
Elemento principe della nostra camera chiara e' certamente
il computer. Questo sara' dotato di un monitor a colori di
buona qualita' (volendo anche di dimensioni "normali") una
discreta quantita' di memoria RAM ed un altrettanto ampio
(fatte le debite proporzioni) spazio disponibile sull'hard
disk. Le immagini digitali, infatti, occupano molto spazio:
si parla sempre dell'ordine dei megabyte (a volte anche
decine e decine). Del resto il calcolo dello spazio occupato
e' assai semplice: si moltiplica l'altezza in pixel per la
larghezza in pixel per il numero di byte occupati da ognuno
di questi. Un'immagine a 24 bit/pixel (3 byte/pixel) da
2000x3000 pixel occupa, una volta caricata in memoria, ben
18 megabyte, molto meno sull'hard disk grazie ai vari
algoritmi di compressione (deterministici e non, vedi
riquadro) disponibili all'interno dei programmi di
elaborazione.
Se ci appoggiamo ad un fotolaboratorio per la
digitalizzazione e la stampa, la nostra camera chiara, dal
punto di vista hardware, e' gia' piu' che sufficiente. Per
essere un po' piu' autonomi, e' consigliabile disporre anche
di uno scanner a colori (ne esistono di vari tipi e per
tutte le tesche) e di una stampantina a colori per avere un
preview su carta del risultato. Le stampanti a colori di
livello fotografico naturalmente esistono (sono le stampanti
a sublimazione termica), ma hanno il piccolo difetto di
costare ben oltre i dieci milioni, sebbene assicurino
risultati mozzafiato. In ogni caso, anche sotto la soglia
dei due milioni, e' possibile trovare prodotti di stampa di
qualita' piu' che sufficiente per un utilizzo
prevalentemente amatoriale, lasciando al fotolaboratorio
"digitalmente attrezzato" l'onere di restituirci una stampa
di qualita' a sublimazione o, meglio, la gia' citata
fotorestituzione su pellicola negativa o diapositiva.
Dal punto di vista software, e' conveniente disporre di
alcune utility di conversione che ci permetteranno di
leggere o salvare le nostre immagini in vari formati,
consentendo conseguentemente la trasformazione da un formato
all'altro. Anche nei confronti del fotolaboratorio che
accettera' i nostri file sara' ovviamente necessario
"comunicare" nel giusto formato, pena l'impossibilita' da
parte nostra e/o da parte loro di utilizzare le immagini
digitali scannerizzate o elaborate.
Ma l'elemento piu' importante di una camera chiara e' senza
dubbio il programma di elaborazione digitale delle immagini.
E' questo lo strumento vero e proprio che ci permettera' di
intervenire sull'immagine originaria per effettuare
correzioni, modifiche, elaborazioni e tant'altro.
Lanciato il programma, la prima operazione da compiere sara'
l'acquisizione (o il caricamento) dell'immagine da trattare.
Acquisizione, nel caso di utilizzo di uno scanner,
caricamento se disponiamo della nostra immagine gia' in
formato digitale.
Generalmente sono tre le possibili azioni che possiamo
compiere sulla nostra fotografia. Semplici correzioni
cromatiche o di contrasto/luminosita', elaborazioni digitali
utilizzando i filtri previsti dal programma, vere e proprie
modifiche all'immagine che possono comprendere perfino il
mascheramento di particolari indesiderati, la correzione o
l'accentuazione della deformazione prospettica o addirittura
pseudo-variazioni di inquadratura: possiamo, ad esempio,
spostare un elemento compositivo da un punto ad un altro
dell'immagine, ricostruendo facilmente la porzione di sfondo
mancante, dopo lo spostamento.
Tre
esempi tipici
Un primo
esempio di mascheramento elemento/ricostruzione dello sfondo
e' dato dall'immagine di mia figlia Silvia mostrata a pagina
________ . Sebbene l'albero presente in quell'immagine sulla
destra non sia un elemento di eccessivo disturbo, proviamo
ugualmente ad eliminarlo. Il programma utilizzato e' il
"mitico" Photoshop della Adobe, il computer e' un Macintosh
Quadra 610, l'immagine originaria e' stata acquisita a 300
dpi con lo scanner Microtek ScanMaker IIsp. Per eseguire
queste operazioni, Photoshop mette a disposizione lo
strumento "Timbro": puntando col mouse una zona da clonare,
possiamo riprodurla in un altro punto "coprendo" in questo
modo la parte da mascherare. Dato che lo sfondo e' piuttosto
sfuocato (come e' giusto che sia nei ritratti fotografici)
la clonazione dello sfondo a sinistra sull'albero a destra
si effettua piuttosto agevolmente. Il trucco e', comunque,
quello di variare spesso il punto di origine della
clonazione, in modo da non "fotocopiare" banalmente l'intero
sfondo a sinistra sul lato destro. I piu' attenti avranno
anche notato che ho fatto sparire dalla testa di Silvia
l'antiestetico alberello visibile in lontananza,
ricostruendo con un analogo procedimento la zona
interessata. Gia' che c'ero, sempre grazie a Photoshop, ho
eliminato la dominante verde visibile sul viso di mia figlia
(ma solo sul viso), dovuta alla presenza del prato che
riflette luce di questo colore. Giuro, in ogni caso, di non
aver abbattuto l'albero in questione.
Ancor piu' divertente e' stato l'intervento effettuato sulla
fotografia di Alice (la mia gattina siamese) mostrata, prima
e dopo la cura, a pagina ________ . Come noto, fotografare
un gatto (discorso del tutto analogo per i bambini molto
piccoli) e' una delle cose piu' difficili da effettuare.
Grazie al fatto che la mia reflex dispone di un sistema
autofocus dal funzionamento ineccepibile, ho avuto un
problema in meno (ma non e' affatto l'unico) per effettuare
la ripresa. Nella foto originaria, l'orecchio sinistro
(destro per chi guarda) della micia e' sfuggito
all'inquadratura: mi sarei dovuto allontanare di qualche
centimetro prima di scattare, perdendo pero' in questo modo
quasi sicuramente l'espressione tanto simpatica durata non
piu' di un attimo. Per ricostruire l'orecchio mancante, ho
selezionato, duplicato, riflesso e ruotato l'orecchio destro
interamente disponibile nella fotografia. Con un po' di
pazienza ho effettuato l'innesto (roba da chirurgo
estetico!) modellando manualmente le linee di giuntura per
rendere il tutto naturale. Ho eliminato, inoltre, il braccio
che visibile a sinistra e modificato, sempre con lo
strumento "Timbro", lo sfondo dietro alla testa per renderlo
piu' intonato ai colori del gatto. Non ancora soddisfatto
del risultato, ho selezionato con lo strumento "Lazo" gli
occhi azzurri di Alice e, regolandone la tonalita'
cromatica, li ho resi di un colore blu piu' profondo. Agendo
sul medesimo cursore della tonalita' era finanche possibile
trasformarli in verde intenso o rosso vivo: vi risparmio i
risultati per rispetto di Alice.
Terzo esempio, Valeria Marini (ebbene si', lo confesso, non
so che darei...). L'immagine di partenza, purtroppo, non e'
mia, ma e' stata prelevata scannerizzando la copertina
dell'Espresso del 18/02/94 sulla quale la Marini... faceva
bella mostra di se'.
Utilizzando una risoluzione piuttosto alta (600 punti per
pollice) e, successivamente, riducendo la stessa tramite
Photoshop la retinatura della stampa tipografica di partenza
e' svanita nel nulla, per far posto ad una tonalita' piu' o
meno continua... della pelle della Marini. Come sfondo e'
stato utilizzato il file Blues presente, come demo, sui
dischi dello stesso Photoshop. Per scontornare il soggetto
e' stato utilizzato lo strumento, non ridete!, "Bacchetta
Magica" (peccato non abbia funzionato nel modo che avrei
desiderato...) con il quale e' stato eliminato lo sfondo
originario e il resto della copertina. La Marini cosi'
selezionata e' stata inserita sul nuovo sfondo, non prima di
aver effettuato sulla stessa alcune correzioni cromatiche
per migliorarne (per quanto possibile) l'aspetto. Visto che
c'ero ho eliminato alcuni antiestetici nei (a quei livelli,
si fa per dire) visibili sulla foto originale e ho
rafforzato il rossetto aumentando le componenti magenta e
rosso solo in quella zona. Infine, per rendere l'immagine
meglio innestata sullo sfondo, con lo strumento "Sfumino"
(graficamente rappresentato da un dito, non immaginate
l'emozione nel toccare la Marini via... software) ho
impastato leggermente i contorni, utilizzando una maschera
costruita selezionando un bordo di pochi pixel a partire
dalla selezione iniziale. Il risultato finale, assieme alla
copertina dell'Espresso, e' visibile in queste pagine:
complimenti a Mimmo Cattarinich (autore della fotografia
originaria), a Photoshop e... a Madre Natura.
I filtri
digitali
Basta
mettere solo un attimo il naso nel capitolo "filtri
digitali" per rendersi conto di persona delle enormi
potenzialita' della fotografia elettronica. Per tutte le
elaborazioni mostrate in quest'articolo e' stato utilizzato,
come detto, Adobe Photoshop nella sua penultima versione
2.5.1 (e' da poco disponibile la 3.0, speriamo di poterla
utilizzare presso la nostra postazione allo SMAU). Oltre
agli strumenti di fotoritocco, Photoshop mette a
disposizione alcune decine di filtri digitali per elaborare,
secondo infinite possibilita', le nostre immagini
fotografiche. Ulteriori filtri aggiuntivi, grazie alla
stessa modularita' del programma, sono acquistabili
successivamente per espandere ulteriormente le gia' tanto
ampie possibilita' di Photoshop. Intere collezioni di
filtri, come gli ottimi KPT o i filtri GE , sono realizzate
anche da produttori indipendenti.
Detto in parole molto semplici, un filtro digitale e' una
funzione del programma di elaborazione che permette di
effettuare una ben precisa trasformazione dell'immagine di
partenza. E' un algoritmo matematico che si applica
all'immagine originale per ottenere una nuova immagine
modificata. Per essere piu' precisi, i filtri possono anche
essere applicati ad una sola porzione dell'immagine (da
delimitare via mouse), cosi' come abbiamo visto per le
correzioni cromatiche degli occhi di Alice o delle labbra
della Marini.
L'infinita' di effetti ottenibili e' dovuta al fatto che
molti filtri digitali hanno l'incidenza regolabile e sono
tra loro combinabili sequenzialmente (applicato un filtro
possiamo applicarne un altro e poi un altro ancora, cosi'
come scambiare l'ordine di applicazione degli stessi). Oltre
ai ricchi manuali a corredo di Photoshop, esistono gia'
molti libri "esterni" su questo programma, nei quali vengono
svelati moltissimi trucchi per ottenere effetti particolari
utilizzando una combinazione dei filtri disponibili.
Con il filtro "Mosso", ad esempio, possiamo imprimere un
effetto di movimento allo sfondo (lasciando, se lo
desideriamo, inalterato il soggetto) in modo da ottenere
come risultato un'immagine piu' dinamica. Allo stesso modo
possiamo controllare la sfocatura del soggetto in primo
piano o, meglio, dello sfondo alle sue spalle (ottenendo un
risultato del tutto simile all'utilizzo di un diaframma piu'
aperto in fase di ripresa).
Veri e propri effetti speciali digitali (ben difficilmente
riproducibili con i metodi tradizionali) sono ottenibili col
filtro "Estrusione" che trasforma l'immagine di partenza in
un insieme di cubi o piramidi protratti verso l'esterno con
un effetto altamente tridimensionale. Un esempio di
applicazione di tale filtro e' mostrato a pagina ________ :
l'immagine di partenza e' del sottoscritto, l'estrusione
utilizzata e' quella "a cubi", con altezza casuale e facce
frontali uniformi. Mi e' piaciuta molto, come sempre spero
in una resa tipografica ottimale (chi vive di speranza,
muore disperato!).
(RIQUADRO)
La
compressione delle immagini:
Lascio,
o raddoppio?
di
Andrea de Prisco
Semplificando al massimo, la compressione digitale consente
di risparmiare spazio sull'hard disk utilizzando per le
immagini un numero inferiore di byte di quanti le stesse
immagini ne occupino nella memoria del computer durante
l'elaborazione (o la semplice visualizzazione). Questo e'
effettivamente un aspetto che puo' indurre pericolosi
sospetti: se un'immagine, per fare un esempio, quando e'
visualizzata sullo schermo occupa centomila byte e
memorizzata sull'hard disk ne occupa la meta' o un quarto,
e' per caso il computer a "buttar via" parte dell'immagine
per risparmiare spazio? O provoca una perdita di
risoluzione, di nitidezza, di dettaglio?
Niente paura: per quanto possa sembrare strano la maggior
parte (e sottolineo la maggior parte) dei metodi di
compressione non provocano alcuna perdita di informazione.
Comprimendo e decomprimendo un'immagine si torna esattamente
al punto di partenza, senza perdere nemmeno un bit. La
compressione, in pratica, e' simile a quella per gli
eseguibili (tipo i vari "zippatori", per intenderci): se un
programma, una volta decompresso, non fosse identico
all'originale, ben difficilmente potrebbe funzionare
nuovamente.
Di metodi di compressione/decompressione dei file ne sono
stati sviluppati tantissimi, e quasi tutti si basano sul
fatto che e' inutile memorizzare molte volte la stessa
informazione, ma e' piu' conveniente indicare l'informazione
una sola volta e il numero di ripetizioni della stessa.
Analogamente, quando il computer legge dall'hard disk
l'immagine compressa, effettua il ragionamento (se cosi' si
puo' chiamare) opposto per riottenere l'immagine originaria.
Riguardo sempre le immagini digitali (algoritmi dello stesso
tipo, anche se diversi, sono adoperati per la compressione
musicale o dei filmati video) e' da segnalare l'esistenza di
procedimenti di compressione a perdita di informazione, come
l'ormai diffusissimo JPEG. Sfruttando in questo caso
similitudini tra porzioni diverse dell'immagine si riesce a
comprimere maggiormente l'immagine (rispetto ad un
procedimento tradizionale) accettando una spesso
impercettibile, seppur presente, perdita di dettaglio. Se
analizziamo ben ingrandita l'immagine prima e dopo una
compressione di questo tipo (a perdita di informazione)
noteremo una piu' o meno evidente perdita di definizione, ma
giudicando l'immagine ad occhio nudo, a grandezza naturale,
non notiamo alcun decadimento del risultato visivo. Gli
algoritmi di questo tipo hanno di solito l'intervento
variabile: da alta compressione-bassa qualita' alla bassa
compressione con qualita' elevatissima. A noi la scelta e,
conseguentemente, il posizionamento del relativo cursore.
(RIQUADRO)
La
catena e gli anelli
di
Andrea de Prisco
Con le
tecniche tradizionali, per ottenere una fotografia occorre
di solito effettuare almeno i seguenti passaggi: comporre
l'immagine, effettuare la ripresa, sviluppare la pellicola,
eseguire la stampa su carta. L'elaborazione digitale di
un'immagine e', al giorno d'oggi, una quinta fase che va ad
inserirsi esclusivamente dopo lo sviluppo della pellicola e
prima della successiva stampa su carta. Per essere piu'
precisi, la stampa di una fotografia digitale ha poco a che
vedere con la stampa di una fotografia tradizionale in
quanto non avviene piu' per proiezione dell'originale su
carta fotosensibile e successivo trattamento chimico, ma
direttamente utilizzando una stampante a colori (di elevata
qualita') collegata al computer.
Dal lato opposto, i tentativi finora effettuati per ottenere
immagini digitali direttamente da apparecchi elettronici
(utilizzando un sensore CCD tipo quello presente nelle
videocamere ma con una risoluzione superiore) hanno dato
risultati poco interessanti per qualita', o a prezzi ancora
proibitivi a causa dell'alto costo di tali fotocamere.
Oggigiorno la fotografia elettronica e' ancora qualcosa
fortemente legato a quella tradizionale, per il fatto che le
fasi iniziali, dalla composizione fino allo sviluppo
negativo (o positivo) compreso, restano assolutamente
invariate. Una volta sviluppati i negativi, per effettuare
l'elaborazione digitale, e' necessario trasferire su un
computer l'immagine da trattare. Esistono vari procedimenti
per effettuare questo passaggio, diversi tra loro, ma tutti
accomunati dal fatto di effettuare una digitalizzazione
dell'immagine. Partendo dalla pellicola (o da una stampa
iniziale) l'immagine viene scandita e convertita in un
segnale numerico utilizzabile dal computer. In pratica
avviene una suddivisione dell'immagine in alcuni milioni di
piccoli elementi, i pixel, per ognuno dei quali e' generato
un numero che ne rappresenta il colore. Se, come e'
opportuno che sia, la dimensione dei pixel e' inferiore a
quella della grana, non si ha di fatto alcuna perdita di
dettaglio nella trasformazione a mezzo scanner da immagine
tradizionale a digitale.
Effettuata sull'immagine digitale ogni elaborazione o
modifica necessaria, l'immagine puo' finalmente essere
trasferita su carta attraverso un procedimento complementare
alla scannerizzazione: il segnale numerico viene
riconvertito in immagine stampando ogni pixel del colore
codificato dal numero che lo rappresenta.
Nell'ipotesi, assai probabile, di non disporre di una
propria stampante a sublimazione termica, l'unica soluzione
al problema e' data dalla possibilita' di rivolgerci ad un
fotolaboratorio "digital ready" al quale portare le nostre
immagini elaborate sotto forma di file, per la stampa
diretta o per ottenere un nuovo negativo o una nuova
diapositiva (da trattare successivamente con metodi
tradizionali). Visto che le immagini digitali, specialmente
se ad alta definizione, occupano sempre alcuni megabyte
anche in formato compresso (a meno di non ricorrere ad
algoritmi a perdita d'informazione di alta compressione e
bassa qualita') sara' molto difficile utilizzare i comuni
dischetti per computer da 1.4 megabyte.
In attesa di una prossima standardizzazione di un formato di
memoria di massa rimovibile ad alta capacita' e a basso
costo (attualmente i piu' diffusi sono i magneto ottici da
128 megabyte e i rimovibili SyQuest da 44/88 megabyte) e'
necessario mettersi d'accordo con il fotolaboratorio per
utilizzare un supporto di memorizzazione comune. Inutile
dire che dovremo noi adattarci alle esigenze del
fotolaboratorio, che ben difficilmente (a meno di non
concordare grossi volumi) acquistera' apposta per noi
l'hardware necessario per leggere i nostri file.
(RIQUADRO)
Scanner
o lettore di CD-ROM?
(Ma che
razza di domanda e'?)
di
Andrea de Prisco
Per
convertire un'immagine tradizionale in immagine digitale si
utilizza uno scanner. A seconda della qualita' fornita
dall'apparecchio (numero di pixel e numero di colori) puo'
costare dalle poche centinaia di migliaia di lire per gli
apparecchi amatoriali di tipo manuale ad alcune decine di
milioni per quelli professionali, fino alle centinaia e piu'
per i modelli industriali. Per l'utente amatorialmente
interessato all'elaborazione digitale delle immagini non e'
strettamente necessario disporre di uno scanner per
trasferire le immagini tradizionali su computer in quanto la
soluzione piu' economica (ma non per questo di scarsa
qualita') e' quella di far effettuare la digitalizzazione ad
un laboratorio fotografico. Come? Semplice: chiedendo di
trasferire le nostre immagini su PhotoCD Kodak. Quest'ultimo
non e' altro che un supporto di costo contenuto per immagini
digitali. E' sufficiente che il nostro computer abbia un
economico (poche centinaia di migliaia di lire) lettore di
CD-ROM per evitare di acquistare uno scanner. Il vantaggio
non e' da poco, soprattutto considerato che la qualita' di
una digitalizzazione PhotoCD (sei milioni di punti in sedici
milioni di colori) puo' essere ottenuta, in alternativa,
solo acquistando un film scanner da svariati milioni (uno
dei piu' economici e' l'ottimo Coolscan della instancabile
Nikon).
Il "passaggio" per il PhotoCD Kodak e' sicuramente il
sistema piu' economico per ottenere delle digitalizzazioni
di qualita' elevatissima ad un costo pressoche' irrisorio
(circa mille lire ad immagine) con l'unico handicap dovuto
ai tempi di attesa dipendenti principalmente dal
fotolaboratorio, variabili dalla mezza giornata alla
settimana e piu' se nella nostra citta' non ci sono
laboratori Kodak PhotoCD.
Se il nostro computer non dispone di un lettore di CD-ROM e
siamo interessati all'acquisto di un dispositivo di questo
tipo, l'unica cosa da verificare riguarda la possibilita' di
utilizzare i dischi multisessione, quali sono, per
l'appunto, i PhotoCD. Questi ultimi, infatti, sono
strutturati diversamente rispetto ai CD-ROM tradizionali,
proprio per poter dare all'utente la possibilita' di far
registrare in tempi successivi dal proprio laboratorio le
immagini sul disco. Ogni volta che si consegna il disco al
laboratorio per aggiungere ulteriori immagini, la T.O.C. (Table
of Content, la lista del contenuto del disco, nella
fattispecie le immagini gia' inserite) viene annullata
completamente e, in un punto diverso del PhotoCD, ne viene
creata una ex-novo con le indicazioni delle nuove e delle
vecchie immagini. I lettori di CD-ROM dell'ultima
generazione, i multisessione, sono in grado di individuare
l'ultima T.O.C. incisa per poter accedere a tutte le
immagini contenute nel PhotoCD. Utilizzando un CD-ROM di
generazione precedente, riusciremmo a leggere solo le
immagini memorizzate la prima volta, ma non le successive.
(RIQUADRO)
Il
Colore
(quello
professionale...)
di
Andrea de Prisco
Come
molti di voi sapranno, la sede della Technimedia, casa
editrice di varie pubblicazioni tecniche tra cui
MCmicrocomputer, si trova in Via Carlo Perrier, 9. Dieci
numeri civici piu' avanti, esattamente al numero 19 e'
situato un importante laboratorio fotografico professionale,
non a caso denominato "Il Colore". Vista l'estrema vicinanza
con le nostre redazioni, constatato che il livello
qualitativo offerto e' molto elevato, i tempi di consegna
piu' che ragionevoli (un paio d'ore per sviluppare le
diapositive, un giorno per lo sviluppo e la stampa da
negativo), la cortesia e la disponibilita' degli addetti
piu' che esemplare, e' stato piuttosto spontaneo diventare
loro clienti fissi, quasi per ogni tipo di lavorazione
fotografica.
Un bel giorno, pochi mesi fa, tra un rullino e l'altro
consegnato o ritirato, ho visto spuntare dietro ad una
vetrata del laboratorio, ben visibile dal banco clienti,
tutta una serie di oggetti a me molto familiari. Non si
trattava della solita stampatrice automatica o di una
sviluppatrice per film e pellicole piane, ma un signor
sistema di elaborazione digitale delle immagini basato su un
Macintosh Quadra 800, un monitor Apple 16", uno scanner A3
dell'Agfa, uno scanner per film, una stampante a colori e un
film recorder (apparecchio in grado di trasferire su
pellicola tradizionale un'immagine digitale anche ad
altissima risoluzione). Hard disk esterni e rimovilibi a
piu' non posso, e anche una coppia di Macintosh LC 475 per i
lavori minori. Photoshop, di contro, la faceva da padrone
dal punto di vista software, ben affiancato da altri
applicativi di elaborazione digitale varia. Tombola!
Tutto questo succedeva a marzo di quest'anno, proprio nel
periodo in cui stavo diventando matto per ottenere delle
stampe di altissima qualita' a partire dai file arrivati in
redazione per la partecipazione ad ArtGallery, da esporre
come previsto all'imminentissimo Bit.Movie di Riccione.
"Ma cose da pazzi!!! Vi occupate di elaborazione digitale
delle immagini e non dite nulla!!".
Senza nemmeno dar tempo al titolare, Tommaso Mariani, di
rispondere al mio attacco, corsi in redazione (sai che
fatica, e' pure discesa...) e nel giro di pochi minuti
tornai all'attacco con aria ancor piu' minacciosa
accompagnata da una cartuccia SyQuest da 88 megabyte
contenente tutte le immagini da stampare. Rapida
chiacchierata e poi la sentenza: "Fotografiamo su pellicona
negativa e poi stampiamo degli ottimi trenta per quaranta su
carta lucida". Per la cronaca, "fotografare su pellicola",
nel gergo tecnico dei fotolaboratori "digital ready", vuol
dire riprodurre su pellicola, utilizzando il gia' citato
Film Recorder, un'immagine generata (o comunque proveniente)
da computer. Di li' a poche ore i negativi erano gia' bell'e
pronti e nel giro di un paio di giorni avevamo anche i
trenta per quaranta per l'incorniciatura a giorno e la
spedizione a Riccione.
Tommaso Mariani crede molto in questa nuova specializzazione
dei fotolaboratori, al punto che non ha esitato ad investire
centinaia di milioni in attrezzature per l'elaborazione
digitale delle immagini. I servizi offerti in questo settore
da "Il Colore" vanno dalla semplice digitalizzazione di
immagini in qualsiasi formato (dal 24x36 fino all'A3, opachi
o trasparenti che siano) alla fotorestituzione (il
procedimento complementare) senza trascurare qualsiasi tipo
di elaborazione digitale, dalla correzione, alle modifiche,
al restauro vero e proprio. Mi ha fatto vedere, tanto per
fare un esempio, una vecchia pellicola piana 4"x5"
completamente rovinata da una cattiva, anzi pessima,
conservazione. Pareva fosse stata prima accartocciata, poi
abbondantemente pestata a suon di tacchi, ed infine
conservata in questo stato per molto tempo. Nei punti di
"accartocciamento" l'emulsione era completamente saltata e
qualsiasi utilizzo tradizionale della lastra avrebbe dato
risultati assolutamente inutilizzabili.
Ma col digitale, si sa, e' possibile fare cose dell'altro
mondo, compreso far risuscitare a nuova vita una pellicola
piana ormai defunta da tempo. Dapprima un'ottima
digitalizzazione con lo scanner per pellicole, poi
un'intensa sessione di cure estetiche a base di Adobe
Photoshop (con i potenti strumenti messi a disposizione da
questo, diventa quasi un gioco da ragazzi...), ed infine la
fotorestituzione, sempre su pellicola piana da 4"x5". A
confrontare le due pellicole c'era quasi da non crederci: la
nuova aveva esattamente lo stesso bilanciamento cromatico
della vecchia, senza nessuna traccia del passato burrascoso
di quest'ultima.
Uno dei motivi per cui il sistema de "Il Colore" e' ben
visibile a chi entra nel laboratorio e' proprio per
diffondere quanto piu' possibile la tecnologia digitale,
specialmente tra i professionisti, forse ancor oggi un po'
troppo restii all'adozione di nuove tecniche.
Ma sono sufficienti pochi minuti di conversazione con
Tommaso Mariani, per rendersi conto che tutto questo non e'
piu' fantascienza, e chi vuol rimanere indietro prima o poi
dovra' affrettare i suoi passi. Bravo Tommaso!
Articolo pubblicato
su
www.digiTANTO.it - per ulteriori informazioni
clicca qui
|