Articolo pubblicato sul n. 146 di
MCmicrocomputer
(Edizioni
Technimedia Srl - Roma) nel dicembre 1994
Digital
Imaging:
La potenza digitale
di
Andrea de Prisco
A
giudicare dal numero di persone intervenute presso il nostro
stand allo SMAU per effettuare un'elaborazione digitale su
una loro fotografia (come invitati dal sottoscritto sul
numero di settembre di MC) l'argomento "fotografia
elettronica & Co." interessa molto ai nostri lettori. A
parte un paio di "soliti furbi"
che hanno preso la palla al
balzo per cercare di avere un puro e semplice ingrandimento
dalla loro fotografia
(dimostrando di non essere
assolutamente a conoscenza del motivo per cui avevamo
attrezzato una postazione di questo tipo presso lo stand di MC allo SMAU) ciò che ci ha colpito maggiormente è stato il
livello di interesse degli intervenuti che seguivano
attentamente il processo elaborativo, chiedendo
continuamente ragguagli, proponendo alternative sempre
valide, sgranando spesso gli occhi davanti alle potenzialità
"immediate" offerte dai sistemi di elaborazione elettronica.
E' molto facile, infatti, rimanere letteralmente abbagliati
da questo affascinante mondo, e può succedere anche a chi si
ritiene già sufficientemente esperto della materia
informatica (personale e non) e ancor di più quando si è, o
si è stati, anche "praticanti" del mondo della fotografia
tradizionale.
Questo ci ha spinto (o quantomeno invogliato) ad inaugurare
su MCmicrocomputer una nuova, speriamo interessante, rubrica
dedicata al Desk Top Imaging, nella quale discutere più o
meno approfonditamente di elaborazione digitale, di "camera
chiara", di hardware, software, periferiche e accessori,
procedimenti, metodi, trucchi e quant'altro voi stessi
lettori vorrete gentilmente segnalarci.
Ma, come direbbe Corrado, non finisce qui...
All'interno di ogni articolo, infatti, pubblicheremo
un'elaborazione di una vostra foto che, sin da questo
momento, vi invitiamo ad inviare presso la nostra redazione
e più in particolare a questa rubrica. Ogni mese la
fotografia più interessante (sotto il profilo "elaborativo")
verrà modificata e/o corretta secondo le vostre stesse
indicazioni, che accluderete alla immagini, e pubblicata in
queste pagine prima e dopo la cura non senza ad una
dettagliata spiegazione del procedimento utilizzato.
Allo stesso tempo invitiamo anche i lettori "digitalmente
attrezzati" in questo campo ad inviare immagine originale e
successiva elaborazione (anche a risoluzione medio/bassa,
purché siano chiari e visibili a video gli interventi
effettuati) sotto forma di file su dischetto: anche in
questo caso le immagini più interessanti saranno pubblicate
all'interno della rubrica.
La paura
del digitale
Negli
ultimi mesi ho avuto a che fare, per svariati motivi, con
alcuni professionisti dell'immagine "tradizionale"
(beninteso, io mi considero un fotoamatore...) coi quali,
utilizzando artifici sempre più perfidi, riuscivo prima o
poi ad intrattenere più d'una chiacchierata sul mondo della
fotografia digitale o elettronica, col preciso scopo di
comprendere la loro posizione a riguardo. Nella stragrande
maggioranza dei casi, dalle conversazioni emergeva una
specie di "paura dell'ignoto" nei confronti di questa nuova
tecnologia, purtroppo non sufficientemente conosciuta per
quello che attualmente è, una naturale continuazione delle
fotografia tradizionale. Molti professionisti sono convinti
che la tecnologia digitale serva solo per ottenere risultati
peggiori, men che accettabili, in tempi ristretti: nulla di
più. Le cose fortunatamente non stanno realmente così in
quanto si può considerare la fotografia digitale come un
sottoprocesso del tutto indipendente e facoltativo del
processo fotografico tradizionale, grazie al quale è
possibile effettuare modifiche o correzioni all'immagine
iniziale molto difficili o assolutamente irrealizzabili con
i metodi manuali.
Posto, infatti, che la fotografia tradizionale è un
processo, complesso o semplice quanto vogliamo, che ci
consente di passare da un soggetto reale (oggetto della
ripresa) ad una sua rappresentazione su carta o su
pellicola, con un computer piuttosto potente ed un evoluto
programma di fotoritocco, una volta acquisita l'immagine ad
una risoluzione sufficientemente alta (vedi dopo) abbiamo la
possibilità di intervenire all'interno del processo stesso.
Punto iniziale e punto d'arrivo non cambiano: dal soggetto
alla sua rappresentazione come da più di un secolo e mezzo a
questa parte; ciò che cambia riguarda l'aggiunta di alcuni
passaggi intermedi.
Ci sono ovviamente anche sistemi completamente digitali,
dove scompare la ripresa tramite fotocamere tradizionali e
pellicole fotografiche, ma si tratta ancora di strumenti in
fase di evoluzione per i quali una razione di diffidenza è
tuttora assolutamente legittima. Un fotografo
professionista, da sempre abituato ad utilizzare una
macchina a banco ottico per riprendere su pellicola di
grande formato, ben difficilmente (e ragion veduta) potrebbe
trovarsi a suo agio nel scegliere la migliore inquadratura
e/o la messa a fuoco attraverso un monitor a colori anche di
elevata risoluzione o fedeltà cromatica. E' un problema di
sensazioni, di feeling, che fanno parte esse stesse del
complesso processo di ripresa. Date ad un fotoreporter la
macchina fotografica di un suo collega e non riuscirà a dare
il meglio di sé: è un problema da non sottovalutare... mi è
stato riferito.
Non sfugge a quest'analisi il problema della stampa
digitale. Ho sottoposto alcune stampe a sublimazione
(realizzate con quel gioiello tecnologico di nome XLS 8600 e
cognome Kodak, scusate se è poco!) agli stessi
professionisti di prima per scoprire altre reazioni:
l'incredulità è stato il motivo dominante. Per fortuna che
sul retro della carta Kodak delle sue stampanti a
sublimazione è chiaramente indicato "Electronic Imaging
Paper", altrimenti correvo il rischio di passare perfino per
bugiardo.
Timori, inoltre, anche per l'aspetto conservativo delle
immagini digitali. Per quanto tempo un'immagine stampata con
la tecnica della sublimazione termica dura nel tempo? Certo,
nessuno può dire cosa rimane di una stampa di questo tipo
tra venti o trent'anni, dal momento che la tecnologia è
troppo giovane per verificarne la durata, ma troppo spesso
si dimentica che una digitalizzazione, prendendo gli
opportuni (e banali) provvedimenti, può essere considerata
eterna. Questa caratteristica certamente non può essere
riferita ad una pellicola a colori negativa o diapositiva
che sia. Ciò che sfugge maggiormente all'utente fotografico
tradizionale è che una copia digitale... non è una copia ma
una vera e propria clonazione di un originale che produce un
altro originale. Quindi, anche ammettendo che un PhotoCD, o
qualsiasi altro supporto informatico, dopo cinquant'anni si
disintegra (timore del tutto infondato di chi ama diffidare
della fotografia digitale), prima che ciò avvenga possiamo
trasferire le immagini su un nuovo supporto senza la minima
perdita di qualità che invece otterremmo rifotografando gli
originali su pellicola. Sembrano dettagli da poco, ma non
sono affatto da sottovalutare.
Qualità
totale
Come
definizione va piuttosto di moda, non c'è dubbio. Quello che
invece vorrei cercare di spiegare, possibilmente nel modo
più semplice possibile, riguarda la tanto temuta perdita di
qualità nel passaggio da pellicola convenzionale a formato
digitale. Come noto l'operazione si effettua tramite uno
scanner che può accettare originali stampati su carta o
direttamente eseguire la scannerizzazione partendo dalla
pellicola originale, negativa o diapositiva, in qualsiasi
formato.
La digitalizzazione avviene suddividendo l'immagine in tanti
minuscole porzioncine (pixel) per ognuna delle quali è
determinato un ben preciso colore a scelta tra tutti quelli
che il sistema mette a disposizione. Dato che anche
l'originale da digitalizzare (la pellicola o la stampa
fotografica) è a sua volta composto da tanti piccoli
elementi (granuli) ognuno di un ben preciso colore, per non
avere perdita di dettaglio nella trasposizione in digitale è
sufficiente che i pixel di scansione siano più piccoli della
grana fotografica. Riguardo il lato cromatico, se il sistema
mette a disposizione un numero molto elevato di colori
(normalmente quasi 17 milioni di tinte diverse ma si arriva
anche a valori ben più elevati, finanche dell'ordine delle
migliaia di miliardi) non è in pratica possibile per
l'occhio umano riconoscere un limite in questa
discretizzazione. Riassumendo, se lo scanner ha una
risoluzione maggiore della grana fotografica e riconosce un
numero di colori dell'ordine dei milioni di tonalità
diverse, possiamo star certi che passando da immagine
tradizionale a immagine digitale non si ha alcun
deterioramento né in termini di definizione, né in termini
di resa cromatica. Ecco perché conservare le immagini in
formato digitale assicura una durata praticamente infinita
delle stesse (a meno di non distruggere i supporti, ma
questo è un altro problema comunque esistente anche con le
pellicole), senza per questo andare incontro ad un
decadimento qualitativo per nulla piacevole.
Dal punto di vista tecnico, già allo stato attuale, non
esistono limitazioni di natura qualitativa nell'impiego di
immagini digitali a condizione, non ci stancheremo mai di
ripeterlo, di utilizzare una risoluzione molto alta. Il
problema riguarda esclusivamente il computer utilizzato per
l'elaborazione digitale che dovrà essere di adeguata potenza
per non rimanere inchiodato svariati minuti per effettuare
operazioni molto semplici (quale potrebbe essere
l'eliminazione di una porzione dell'immagine) o addirittura
ore per quelle più complesse (applicazione di un filtro
digitale algoritmicamente impegnativo). Alla luce di queste
considerazioni, non bisogna nemmeno sottovalutare la
quantità di memoria disponibile, sia a livello di RAM (non
meno di 16 megabyte, meglio il doppio!) che riguardo l'hard
disk. La maggior parte dei programmi di elaborazione
digitale, durante l'utilizzo, mantengono le immagini
trattate sul disco rigido per non impegnare troppa memoria
centrale.
La
fotografia digitale
Ciò che
differenzia maggiormente il mondo della fotografia
elettronica da quella tradizionale non è certo il fatto che
nella prima le immagini sono insiemi di pixel e nella
seconda insiemi di granuli. Il vero e proprio universo
digitale si apre subito dopo la digitalizzazione, ovvero nel
momento stesso in cui possiamo intervenire elettronicamente
sull'immagine acquisita. Come più volte ripetuto, con un
computer e un adeguato programma di fotoritocco possiamo
effettuare piuttosto velocemente operazioni che con i
sistemi tradizionali impegnerebbero l'operatore per un
periodo di gran lunga superiore, ma anche effettuare
interventi prima assolutamente impensabili.
Pensate, ad esempio, alla possibilità di intervenire
cromaticamente solo su una porzione dell'immagine, non solo
correggendo o aggiungendo particolari dominanti, ma
addirittura sostituendo i colori alla ricerca di un
determinato effetto. Prendete un'immagine di un paesaggio e
provate ad immaginare il cielo di un colore viola intenso o
verde smeraldo (ma anche giallo oro, rosso pompeiano,
ruggine, indaco), lasciando intatta la tonalità delle nuvole
e del resto della fotografia. Oppure provate a sostituire il
colore di un indumento indossato dal soggetto della
fotografia, alla ricerca del miglior accoppiamento con il
fondo e il resto dell'inquadratura. Per non parlare della
possibilità (già mostrata nell'articolo di settembre) di
mascherare particolari indesiderati o di aggiungerne di
altri non disponibili al momento della ripresa. Aumentare o
diminuire la saturazione cromatica di una o più porzioni di
immagine è un gioco semplicissimo che si effettua in pochi
attimi controllando a video, costantemente, il risultato
ottenuto.
Anche i fotomontaggi, con l'ausilio di un computer e di un
programma di fotoritocco, diventano semplici da eseguire e
riescono praticamente alla perfezione, grazie anche alla
possibilità di creare artificialmente anche le ombre
mancanti, allineare cromaticamente i pezzi montati (rendere
ad esempio una foto eseguita in studio simile ad una ripresa
in esterni o viceversa) e fondere armonicamente le varie
componenti fino al raggiungimento del risultato voluto.
E' il caso (facevo questa considerazione poco tempo fa con
Marco Marinacci) di rispolverare un vecchio motto
particolarmente "inflazionato" all'inizio dell'informatica
personale, quando parlavamo dei primi computer programmabili
e dell'allora praticamente inesistente software
preconfezionato. Si diceva, molto spesso, che la
potenzialità di questo o quel sistema era limitata solo
dalla fantasia dell'utente che lo doveva programmare per
utilizzarlo. Riguardo la fotografia digitale e gli attuali
computer e software in grado di intervenire sulle immagini
possiamo dire la stessa cosa: non basta leggere o imparare a
memoria il manuale di istruzioni per raggiungere la piena
padronanza del mezzo, ma solo la nostra fantasia potrà
guidarci nell'esplorare questo o quel particolare
procedimento. Un computer, infatti, non può (e non deve)
sostituirsi alla nostra creatività, ma solo rappresentare un
potente strumento per applicarla al meglio.
Ogni volta che accendo il mio Macintosh e lancio Adobe
Photoshop, pur conoscendo ormai abbastanza bene le varie
funzioni svolte dal programma, con qualsiasi immagine mi
metto a giocare (è proprio uno spasso...) prima o poi scopro
qualcosa di nuovo assolutamente non documentato che mi
permette di raggiungere quel risultato fino a pochi minuti
prima ritenuto "impossibile". Se siete anche solo
minimamente interessati alla fotografia (tradizionale) e,
come credo, disponete di un computer sufficientemente
potente (diciamo almeno un 486 o una macchina basata su un
68040), non occorrono grossi investimenti per esplorare
questo campo. Come già anticipato nell'articolo di settembre
(ma avremo modo di tornare più dettagliatamente
sull'argomento) potete anche fare a meno dello scanner e
della stampante a colori se disponete di un lettore di
CD-ROM per leggere i PhotoCD e potete contare su un service
per la stampa da file digitale. Per tutto il resto, nessuna
preoccupazione: seguiteci, ne vedremo delle belle!
(Riquadro)
I
service d'Italia
Sono
riuscito a fare lo stesso errore da me terribilmente odiato.
Spesso mi capita di leggere indirizzi mancanti della città
di appartenenza solo perché... è ovviamente scontata. Sarà
scontata, ma a me dà fastidio. Capita a volte anche negli
inviti che riceviamo giornalmente per le conferenze stampa,
tutte rigorosamente a Milano dato che è lì che si trovano la
maggior parte dei distributori hardware/software. Ogni tanto
scappa l'invito, ricevuto magari via fax, con tutte le
informazioni necessarie a raggiungere il posto, ma dando per
scontato che la città sia Milano. Va bene.
Manco a farlo a posta, nell'articolo di settembre relativo
all'elaborazione digitale delle immagini, ho citato un
importante fotolaboratorio a due passi dalla Technimedia
(editrice di MCmicrocomputer), indicando via e numero civico
ma tralasciando il "particolare" che la città fosse Roma. Me
l'ha fatto notare più di un lettore (forse un po' sbadato)
che aveva sempre dato per scontato che MCmicrocomputer
avesse la sua redazione a Milano. No, MC sta a Roma (e da lì
non si sposta), ma questo non era un motivo sufficiente per
darlo per scontato. Chiedo venia.
Ben più grave, però, è aver comunque tralasciato di indicare
altri fotolaboratori digitalmente attrezzati, in grado cioè
di effettuare digitalizzazioni o stampe da file digitali.
Anche questo è emerso dall'incontro con i lettori all'ultimo
SMAU, qualcuno particolarmente disperato per non essere
ancora riuscito a trovarne uno. Qui di seguito troverete
alcuni indirizzi (comprensivi dell'indicazione della città
di appartenenza). Non si tratta ovviamente di un elenco
completo, e invitiamo chiunque abbia informazioni a riguardo
a contattarci qui in redazione, telefonicamente o (meglio) a
mezzo lettera o fax, per aggiornare la lista. Un grazie
anticipato!
Articolo pubblicato
su
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