Articolo pubblicato sul n. 152 di
MCmicrocomputer
(Edizioni
Technimedia Srl - Roma) nel giugno 1995
Digital
Imaging:
P... come Pixel
di
Andrea de Prisco
Come
certamente gia' sapete, per festeggiare i primi 150 numeri
della nostra amata rivista (il "complinumero" e' stato lo
scorso mese di Aprile), abbiamo deciso di realizzare un
CD-ROM contenente una raccolta selezionata dei migliori
articoli pubblicati da MC in questi 14 anni di informatica
personale.
Andando, dunque, a rimettere il naso negli articoli che
scrivevo una decina di anni fa, mi sono accorto come a quei
tempi fosse dominante nei miei "pezzi" piu' il lato
didattico-teorico che quello pratico-esecutivo. Devo, tra
l'altro, buona parte della mia "evoluzione giornalistica"
proprio ad una frase di Marco Marinacci rivoltami agli inizi
degli anni ottanta. Suonava piu' o meno cosi': "L'importante
e' farsi capire dai lettori. Nei passaggi piu' difficili e'
meglio spiegare le cose due volte di seguito, in due modi
anche solo leggermente diversi, in modo da esser sempre
piuttosto certi di non divulgare fischi per fiaschi".
In quei tempi, e avendo fatto tesoro delle raccomandazioni
del capo, riuscivo a portare sulle pagine di MC temi
assolutamente impensabili per una rivista mensile di
informatica, come la teoria della computabilita' logica, la
struttura dei sistemi di calcolo (dal livello microcodice
dei processori fino allo sviluppo di un protocollo di rete
fault tolerant denominato ADPnetwork in onore della mia...
infinita modestia) o alcune estensioni dei linguaggi di
programmazione disponibili negli "home computer" dell'epoca.
In questa serie di articoli dedicati all'imaging digitale,
di teoria effettivamente ne abbiamo fatto ben poca.
L'approccio, per quanto possibile, e' sempre stato quello
del "problema-risoluzione" e siamo andati avanti in questo
modo mostrandovi continuamente esempi pratici.
Mi e' cosi' venuta voglia, questo mese, di tirare
(momentaneamente) il freno a mano, per tuffarci brevemente
negli aspetti di base della grafica, per essere certi -
questa e' la mia speranza - che chi mi segue in questo
divertente viaggio abbia ben chiari alcuni concetti
fondamentali. I prossimi articoli, infatti, non potranno
piu' prescindere da queste nozioni di base, visto che
toccheremo via via temi piu' avanzati (dalla correzione
cromatica alla corretta stampa a colori, solo per
anticiparvi qualcosa). Mi rendo conto, infatti, che sin
dall'inizio ho dato molte cose per scontate, con buona pace
per chi segue MC (o il mondo dell'informatica) ormai da
molti anni, ma comunicando "male" con chi e' completamente a
digiuno di aspetti tecnici o che si e' avvicinato solo da
poco a questo entusiasmante mondo.
Quindici o venti anni fa, far funzionare un computer era
sinonimo di "programmare", da ormai una decina d'anni la
stragrande maggioranza degli utenti sono veri e propri
"utenti" e non necessariamente "tecnici". Oggi un hard disk,
tanto per fare un esempio, e' solo un posto dove registriamo
le nostre cose (poco piu' di una videocassetta...), avendo
quasi del tutto dimenticato che si tratta di una struttura
complessa sia dal punto di vista fisico che logico basata su
svariate testine, tracce, settori e (SOPRATTUTTO!) un
file-system.
Questo mese parleremo principalmente di pixel (acronimo di
Picture Element, ma questo credo che sia del tutto inutile
ribadirlo), di risoluzione grafica e risoluzione cromatica.
Non vedremo elaborazioni digitali vere e proprie (ad
eccezione della sezione dedicata ai lettori) ma sara'
comunque una lettura interessante.
O, almeno, spero!
Binari
digitali
Secondo
alcuni tra i piu' fantasiosi teorici (perche' dar loro
torto?) sembrerebbe che noi "umani" utilizziamo per i nostri
calcoli le cifre decimali (da 0 a 9) per il semplice fatto
che abbiamo dieci dita. Probabilmente se ne avessimo avuto
otto, i nostri numeri sarebbero stati formati dalle sole
cifre da 0 a 7. Tutto questo senza minimamente intaccare la
nostra naturale evoluzione, visto che anche otto sole cifre
sono comunque sufficienti per rappresentare qualsiasi
entita' numerica e fare con queste ogni possibile
operazione. Molto probabilmente sarebbe stato piu' contento
Pitagora, con la sua tavola di sole 64 caselle in luogo di
100, e naturalmente gli scolaretti costretti ad imparare a
memoria solo otto tabelline (per di piu' di sole otto
righe!) invece di dieci. Certo, con sole otto dita dovrebbe
essere piu' difficile suonare gli strumenti musicali, ma non
per questo Bach e Chopin ci avrebbero lasciato a bocca
asciutta.
Anche con sole otto cifre, infatti, utilizzando i medesimi
meccanismi della comune aritmetica decimale (che in questo
caso prende il nome di "ottale" o "base 8"), avremmo potuto
ugualmente rappresentare tutti i numeri naturali, i numeri
reali, i frazionari e cosi' via. Al posto di unita', decine,
centinaia e migliaia, avremmo unita', "ottine", "sessantaquattrine",
"cinquecentododicine"... ma il succo non cambia.
A questo punto, la domanda nasce spontanea: con sole otto
cifre, come possiamo scrivere la quantita' superiori a 7?
Semplice la risposta: allo stesso modo in cui
nell'aritmetica in base 10 (decimale) riusciamo a scrivere
quantita' superiori a 9: utilizziamo piu' cifre!
Ad esempio, la quantita' decimale 14 (pari a una decina e
quattro unita') in base 8 viene rappresentata da una "ottina"
e sei unita' (si scrive 16, ma vale sempre quattordici!).
Cambiano i termini della scomposizione, ma non il
procedimento. E questo vale per qualsiasi numero, quanto
grande vogliamo, utilizzando sempre e soltanto le cifre da 0
a 7. Naturalmente esiste anche un procedimento per passare
da ottale a decimale ed e' facile dimostrare che tale
trasformazione e' sempre possibile per qualsiasi entita'
numerica.
Discorso analogo per le operazioni aritmetiche: la somma, la
sottrazione, la moltiplicazione e la divisione restano tali
e quali, ricordando di utilizzare sempre le giuste tabelline
per non diventare scemi.
Tutto questo vale per qualsiasi "base", anche maggiore di 10
(come l'aritmetica esadecimale in base 16) o la minima
possibile che si chiama "binaria" (base 2).
Quest'ultima, per motivi strettamente legati alla
semplificazione elettronica, e' quella utilizzata dai
computer o, piu' in generale, da tutti i dispositivi
digitali. Ragionare in base 2 vuol dire utilizzare due sole
cifre, 0 e 1, due sole tabelline cortissime (urrah!) e una
tavola pitagorica a dir poco comica: 4 caselle!
Anche in base due e' in ogni caso possibile rappresentare
qualsiasi numero: certo, utilizzeremo numeri lunghissimi
anche per quantita' numeriche tutto sommato modeste, ma come
abbiamo gia' detto nulla cambia dal punto di vista della
calcolabilita' di un'aritmetica di questo tipo.
Una cifra binaria, 0 o 1, e' notoriamente un bit
(contrazione di binary digit) e generalmente otto bit
formano un byte. Tutte le possibili combinazioni di 0 e di 1
che possono stare in un byte sono 256 (non e' una quantita'
"a caso", e' pari a 2, la base, elevato ad 8, il numero di
cifre in questione), quindi con un solo byte (di otto bit)
e' possibile rappresentare i primi 256 numeri naturali (da 0
a 255).
Cio' premesso, lasciamo da parte byte e "sessantaquattrine"
e concentriamo la nostra attenzione sull'immagine digitale.
Picture
element
Premesso
che un'immagine digitale e' formata da una quantita' piu' o
meno grande di pixel (maggiore e' il loro numero piu'
l'immagine digitale e' ricca di informazione e quindi di
dettagli), la prima considerazione da fare riguarda il fatto
che se le dimensioni di questi elementi sono piu' piccole
della naturale grana fotografica, nessuna perdita di
definizione e' imputabile al passaggio da immagine
tradizionale alla sua rappresentazione digitale all'interno
di un computer. Dato che un'immagine digitale e' formata da
bit (e quindi da byte) piu' saranno i pixel di cui e'
formata maggiore spazio occupera' in memoria.
Un fotogramma in formato 35mm (24x36) e' formato da svariati
milioni di minuscoli granuli, per una sua codifica senza
perdita di dettaglio alcuna sono necessari molti megabyte.
Cio' dipende, oltre che dal numero di pixel utilizzati (di
quest'aspetto parleremo alla fine), anche dal numero di
colori codificabili: in pratica ogni singolo pixel in quanti
colori diversi puo' essere rappresentato.
Rimanendo in termini generali, ad ogni pixel di un'immagine
digitale e' associato un certo numero di bit. Piu' bit sono
associati ad ogni pixel piu' colori riusciamo a
rappresentare. Se la nostra immagine digitale e' composta da
soli pixel bianchi e neri (come in una stampa tipografica ad
un solo colore) e' sufficiente un bit per ogni pixel. Se,
sempre ad esempio, decidiamo di associare il valore 0 ad
ogni pixel bianco ed il valore 1 ad ogni pixel nero, abbiamo
gia' effettuato la nostra prima, semplice, codifica. In
figura 1a e' rappresentata (mi raccomando non ridete!) la
codifica di un'immagine digitale strettamente bianco/nero di
un albero di Natale. Dato che i colori sono solo due (bianco
e nero) e' sufficiente, come detto, un bit per ogni pixel.
In figura 1b, per maggiore chiarezza e' mostrata la stessa
immagine sostituendo un trattino ad ogni 0 e un asterisco ad
ogni 1.
Un'immagine di questo tipo, come e' facile verificare, e'
formata da 1125 pixel (25x45) e dato che ogni pixel e'
codificato con un solo bit, lo spazio necessario per la sua
rappresentazione in memoria e' pari a 1125 bit.
Associando un numero maggiore di bit ad ogni pixel, possiamo
digitalizzare della nostra immagine anche le sfumature di
grigio o un pari numero di colori. Proseguendo nel nostro
esempio, se avessimo associato due bit per ogni pixel avremo
avuto come conseguenza la possibilita' di codificare (e
quindi utilizzare) quattro colori o livelli di grigio. Due
bit, infatti, permettono di ottenere quattro distinte
combinazioni di 0 e di 1, che possiamo associare ai seguenti
colori:
00 ---> Bianco
01 ---> Grigio chiaro
10 ---> Grigio scuro
11 ---> Nero
Naturalmente possiamo utilizzare le stesse combinazioni per
ottenere altri colori, secondo le nostre necessita. Ad
esempio:
00 ---> Bianco
01 ---> Verde
10 ---> Rosso
11 ---> Blu
Dovrebbe esser chiaro a questo punto che piu' bit associamo
ad ogni pixel, piu' colori possiamo codificare e quindi
trattare, memorizzare e visualizzare. Come rovescio della
medaglia, e' altrettanto vero che un maggior numero di
colori implicano sia una maggiore occupazione in memoria
dell'immagine digitale sia una gestione piu' pesante e
laboriosa quando e' necessario eseguire un trattamento
digitale sulla nostra immagine. Con 256 colori (8 bit per
pixel) il risultato "comincia" ad essere gradevole,
specialmente se associamo a questi il meccanismo della
"palette". Per non scendere a compromessi cromatici,
utilizzando una codifica RGB (basata sui tre colori primari
della sintesi additiva), e' necessario utilizzare almeno 24
bit (tre byte) per pixel, con i quali possiamo rappresentare
piu' di 16.7 milioni di colori: per la precisione, 256
livelli di rosso, 256 livelli di verde, 256 livelli di blu
per ogni punto. Se prendete una calcolatrice e moltiplicate
256x256x256 ottenete come risultato 16.777.216 che e' il
numero totale di combinazioni possibili con una codifica di
questo tipo.
Grazie al fatto che l'occhio umano difficilmente riesce a
notare differenze tra un'immagine a 16.7 milioni di colori e
un'immagine reale (notoriamente composta da infiniti
colori), tale codifica e' soprannominata "true color".
Ovviamente si tratta di vero e proprio "falso tecnologico"
che sfrutta le nostre limitate (per modo di dire...)
capacita' percettive. Infatti, per quanto possano sembrare
tanti 16.7 milioni di colori, non sono "in pratica"
tantissimi una volta constatato che sono la combinazione di
256 livelli di ogni colore primario. E' il numero 256 che,
in alcuni casi, e' spaventosamente piccolo quando cerchiamo
di correggere o modificare una ben precisa componente
cromatica di un'immagine. Ma di quest'aspetto, lo prometto,
ne parleremo in uno dei prossimi articoli di Digital
Imaging.
Colori e
Palette
Facciamo
un passo indietro e, lasciando momentaneamente da parte la
codifica "true color", diamo un rapido sguardo ad alcune
tecniche particolari con le quali e' possibile ottenere, a
parita' di spazio occupato in memoria, risultati visivamente
piu' accettabili sotto il profilo cromatico.
La prima e piu' diffusa tecnica consiste nell'utilizzo di
una "palette" che pemette di ottimizzare l'uso dei colori
disponibili il cui numero, come detto, dipende
esclusivamente dal numero di bit associati ad ogni pixel. Se
il nostro sistema digitale lavora ad esempio con soli 256
colori e questi sono stabiliti in maniera fissa e
immodificabile dal costruttore una volta per tutte, potremmo
avere un po' di problemi per tutte quelle immagini in cui i
colori non corrispondono "piu' di tanto" ai 256 prefissati.
Vedremo le nostre immagini, specialmente se ricche di
sfumature, con i colori falsati per il fatto che il sistema
ha dovuto utilizzare solo quelli disponibili o, molto
spesso, solo un ristretto sottoinsieme di questi. Si puo'
rimediare parzialmente a questo problema attraverso il
cosiddetto "dithering" che permette, accostando punti di
colore diverso, di ottenere nuove tinte con comprese
nell'elenco originario. Ma in questo caso abbiamo una
perdita di risoluzione e pur guadagnandoci dal punto di
vista cromatico ci rimettiamo in definizione.
Tornando, quindi, al caso dei 256 colori "fissi e
immodificabili", in pratica vuol dire che disporremo di una
decina di grigi, una decina di blu, una decina di rossi, una
decina di verdi, una decina di gialli, una decina di marroni
e cosi' via (fino a 256 colori totali). Se nella nostra
immagine digitale sono presenti solo sfumature di blu e
sfumature di verde (ad esempio la foto di un prato con un
bel cielo sullo sfondo impreziosito da qualche nuvola)
sebbene il sistema metta a disposizione 256 colori noi
riusciremo ad utilizzarne soltanto una ventina, i dieci
verdi e i dieci blu.
Per ovviare a questo inconveniente, e' sufficiente
utilizzare, in luogo dei 256 colori "fissi e immodificabili"
un elenco di colori ridefinibili dall'utente: una palette.
In questo modo i 256 colori disponibili non sono fissati dal
costruttore, ma possono essere impostati dall'utente (o
automaticamente dal sistema). Ferma restando quindi
l'occupazione di memoria per quel che riguarda l'immagine (8
bit per pixel), ognuna delle possibili 256 combinazioni non
corrisponde piu' ad un colore preimpostato, ma ad una
determinata casella della "Palette": se ogni casella di
quest'ultima e' formata da 24 bit, avremo si' 256 colori, ma
a scelta tra gli oltre 16.7 milioni codificabili con una
tale quantita' di informazione. Ritornando all'esempio di
prima, possiamo definire oltre un centinaio di sfumature
diverse di verde ed altrettante sfumature diverse di rosso
(oltre ad una cinquantina di bianchi, grigi e grigetti per
le nuvole) per ottenere un'immagine ben piu' realistica.
Un secondo sistema per diminuire l'occupazione di memoria e'
denominato HAM (hold and modify) ed e' molto utilizzato in
ambiente Amiga. Il modo HAM piu' recente (il nome esatto e'
HAM8) utilizza come nel caso precedente 8 bit per ogni
pixel, ma vengono interpretati nel seguente modo: se i primi
due bit sono posti a 00, i rimanenti sei indicano uno dei
sessantaquattro colori definiti in un'apposita palette di
tale dimensione. Questi sessantaquattro colori (due elevato
a sei equivale per l'appunto a tale quantita') rappresentano
i colori di base e sono anch'essi liberamente definibili
dall'utente. Viceversa, se i primi due bit sono posti a 01,
i rimanenti sei bit indicano la quantita' di blu mentre le
componenti rosso e verde restano invariate rispetto al pixel
precedente. Se i primi due bit sono posti a 10, e' il rosso
a giocare la sua carta (i rimanenti sei bit indicano il
valore per questa quantita' cromatica) mentre blu e verde
sono gli stessi, come prima, del pixel adiacente. Infine se
troviamo 11 i rimanenti sei pixel specificano il verde e
come al solito le rimanenti quantita' cromatiche sono quelle
del pixel precedente. Grazie a questa tecnica HAM8 e'
possibile codificare oltre 256.000 colori con soli 8
bit/pixel nonostante il fatto che con il metodo tradizionale
ne avremmo dovuti utilizzare ben diciotto (piu' del doppio).
Il rovescio della medaglia (nulla e' concesso
gratuitamente!) sta nel fatto che per passare da un
qualsiasi colore ad un altro, sempre tra gli oltre 256.000
possibili, e' facile "sprecare" fino a due pixel di colore
intermedio (per questo motivo e' necessario calcolare nel
migliore dei modi i 64 colori di base). Se nella nostra
immagine ci sono bruschi cambiamenti di colore, e non e'
piu' possibile "pescare" nella palette, tali cambiamenti
saranno visualizzati solo come una (spesso antiestetica)
transizione cromatica tra le due tinte larga al massimo due
pixel. Quando invece si tratta di mostrare immagini per loro
natura molto sfumate, tipo incarnati, meglio se primi piani,
l'effetto e' molto attraente sino al punto di non notare
alcunche' di strano nell'immagine che stiamo guardando.
Risoluzioni e Antialiasing
Se da
una parte abbiamo appena visto che piu' colori utilizziamo
piu' spazio occupera' la nostra immagine in memoria, non
dobbiamo dimenticare che il dato principale riguardo la
dimensione finale dipende dal numero totale di pixel
utilizzati. Banalmente, come abbiamo gia' detto, piu' la
nostra immagine sara' ricca di dettagli, piu' spazio
occupera' in memoria.
Anche nel campo della risoluzione esiste un trucchetto per
risparmiare spazio. E non mi sto riferendo all'eventuale
compressione di un'immagine una volta salvata (come avviene
ad esempio, con modalita' ed effetti ben diversi, con i file
PICT, GIF, JPEG, ecc.) ma all'occupazione reale
dell'immagine una volta caricata in memoria.
Tale tecnica e' detta "antialiasing" e permette di avere una
maggiore risoluzione apparente. Si basa sull'utilizzo di
sfumature intermedie per simulare dettagli inesistenti. Se
e' vero che un'immagine vale piu' di mille parole, date uno
sguardo ai due cerchi mostrati in questa pagina. Il secondo
sembra tracciato utilizzando una risoluzione maggiore: il
cerchio e' piu' tondo, tant'e' che si vede molto meno la
scalettatura dovuta ai pixel. In realta' la risoluzione
utilizzata e' la stessa per entrambe le immagini ed e' pure
piuttosto bassa. Il secondo cerchio e' tracciato utilizzando
il meccanismo dell'antialiasing: nei due particolari
ingranditi possiamo ben notare la differenza. Alcuni punti
di tonalita' intermedia sono posizionati in modo tale da
ammorbidire gli scalini dei pixel. L'effetto finale, pura
illusione ottica, parla da se': sim... sala...bim!
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FIGURA 1
A: un'immagine digitale a bassissima risoluzione in bianco e
nero rappresentante un alberello di Natale
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Figura 1
B : Lo stesso alberello di figura 1A sostituendo ad ogni 0
un trattino e ad ogni 1 un asterisco
(Riquadro)
S.O.S.
Digital Imaging
L'immagine scelta questo mese per il fotoritocco digitale ci
e' stata inviata dal lettore Lillo Mancuso di Torino. Si
tratta di uno scorcio interno del Palazzo Ducale di Venezia,
grandioso edificio civile della Serenissima, tra i piu'
ammirati e celebri palazzi del mondo per la concezione
architettonica e i tesori d'arte in esso racchiusi, nonche'
prestigiosa sede del Doge e delle piu' alte magistrature
della Repubblica veneta.
"Ammirato quanto deturpato", come afferma lo stesso autore,
"da quelle orribili transenne, che oltre ad impedirne
l'accesso ai piani superiori (l'immagine risale a sette anni
fa), non ne consentivano nemmeno una dignitosa ripresa
fotografica."
Eliminare particolari indesiderati, come piu' volte abbiamo
avuto modo di mostrare in queste pagine, non e' certo un
problema, specialmente quando e' possibile attingere ad
altre porzioni dell'immagine per ricostruire i dettagli
mancanti. Agendo per via digitale, con il consueto strumento
"Timbro", le transenne sono scomparse facilmente e in pochi
minuti.
L'immagine originale (qualita' della stampa ricevuta a
parte: mi chiedo perche' certi laboratori continuano ad
esistere...) e' comunque piuttosto bella. Peccato che un
ulteriore elemento di disturbo (non segnalato dall'autore)
sia rappresentato dalle linee cadenti, dovute alla ripresa
dal basso verso l'alto. Nella fotografia tradizionale, per
correggere questo tipo di inconveniente, e' necessario
disporre di una macchina fotografica a banco ottico o,
quanto meno, di un obiettivo decentrabile montato su un
apparecchio reflex. Inutile aggiungere che e' strettamente
necessario un robusto treppiedi, un po' di pazienza (non
sono certo foto da gita scolastica) e, naturalmente, uno
schermo di messa a fuoco quadrettato, fatto a posta per la
fotografia architettonica.
A noi, ovviamente, non ce ne frega niente ne' del
basculaggio ne' del treppiedi (al diavolo pure il
fotolaboratorio da strapazzo!) e raddrizziamo digitalmente
le linee cadenti non senza un preventivo riequilibrio dei
livelli ed una sistematina alla curva di gamma (in pratica
gli ho fatto il tagliando dei 120.000 chilometri).
Per annullare la distorsione prospettrica e' stato
utilizzato come sempre Photoshop (Sua Eccellenza!) e in
particolare la funzione "Distorsione" presente nel
sottomenu' Effetti del menu' Immagine. La prima operazione
da compiere sara' quella di valutare il livello di
intervento relativo alla correzione. Per fare questo si
tracciano (al limite sulla fotografia cartacea, io ho
utilizzato sull'immagine digitale un livello aggiuntivo
gentilmente offerto da Photoshop 3.0) da ognuno degli angoli
inferiori due linee nella direzione del punto di fuga della
nostra prospettiva da correggere, misurando a che distanza
dai rimanenti due angoli intersecano il bordo superiore
dell'immagine. A questo punto si selezione l'intera immagine
e, dopo aver richiamato la funzione "Distorsione", si
trascinano uno alla volta gli angoli inferiori per una
distanza pari a quella misurata precedentemente sul bordo
superiore. Effettuato il posizionamento dei due angoli,
possiamo dare l'ok (semplicemente cliccando all'interno
dell'area) e in pochi secondi otteniamo la trasformazione
voluta. L'immagine appena distorta (nel nostro caso
corretta) e' mostrata nella fotografia piccola: le linee
verticali ora sono tutte parallele, il punto di fuga e'
stato rispedito a distanza infinita, e basterebbe
selezionare una porzione rettangolare interna al trapezio
per ottenere il nuovo taglio. Sempre per la serie "Non mi
basta mai" (cfr MC. 151 pag. ___) ho preferito selezionare
una porzione piu' ampia, ricostruendo, ovvero inventando, i
pezzi mancanti. Che ve ne pare?
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