Articolo pubblicato sul n. 180 di
MCmicrocomputer
(Edizioni
Technimedia Srl - Roma) nel gennaio 1998
Digital
Imaging:
Phase One PowerPhase
di Andrea de Prisco
Libidine!
Quando ho a che fare, anche solo per un breve periodo, con
apparati di fotografia digitale di natura spiccatamente
professionale, non riesco più a controllare le mie emozioni
e mi ritrovo a combattere con quel mio particolare stato
d'animo incandescente che non fatico a definire "estasi
godereccia". Sembrerò il solito esagerato, ma avendo questo
mese a disposizione per una prova su MC un "portentoso"
dorso digitale professionale da svariate (e svariate...)
decine di milioni, vi assicuro che l'emozione prende il
sopravvento.
Del resto, l'oggetto di questa prova è un prodotto molto
particolare, dedicato all'utenza così professionale... che
più professional e non si può, in grado di fornire immagini
digitali dirette, senza passare dalla pellicola, da quasi -
tenetevi forte! - centocinquanta megabyte. Questo grazie
alla sua risoluzione reale-non-interpolata di ben
7.000x7.000 pixel, che in un sol boccone polverizza d'un
fiato qualsiasi altra risoluzione grafica ottenibile con le
emergenti tecnologie dei sensori CCD superficiali, tanto in
voga di questi tempi. Scendendo nei dettagli, il Phase One
PowerPhase è di un dorso digitale "a scansione", basato su
un sensore CCD trilineare, da applicare al posto del
magazzino portapellicola delle fotocamere di fascia alta.
Proprio come uno scanner professionale (quale, di fatto, è)
si collega via interfaccia SCSI a un computer Macintosh o
Windows, di potenza medio alta, dotato di una congrua
quantità di memoria RAM e di spazio disponibile su hard disk
viste le dimensioni in gioco dei file immagine generati. La
versione provata in queste pagine, distribuita in esclusiva
dalla Fowa di Torino, si "aggancia" alle note fotocamere
Hasselblad (e conta, così, sui portentosi obiettivi Carl
Zeiss di quel sistema) ma lo stesso dorso, differente solo
nella parte meccanica di aggancio al corpo macchina, esiste
anche per altre fotocamere professionali medio formato oltre
che in versione châssis per le professionali
basculanti/decentrabili a banco ottico.
Senza voler per questo anticipare a tutti i costi le
conclusioni che troverete al termine di quest'articolo, è
inutile sottolineare che i risultati ottenibili dal
PowerPhase sono assolutamente ineccepibili sia per quel che
riguarda l'elevata risoluzione grafica a disposizione, sia
in merito alla capacità cromatiche del dispositivo. E del
resto da un prodotto di questo tipo, dedicato esclusivamente
all'utilizzo altamente professionale (considerato anche il
prezzo di vendita dell'oggetto) non era proprio ipotizzabile
accettare qualcosa di meno. Tutto qui.
Facciamo un passo indietro
Dicevamo, prima, che il PowerPhase è un dorso digitale "a
scansione". Spiegare questo concetto, con tutti gli annessi
e connessi che andremo ora ad illustrare, ai lettori di
MCmicrocomputer è probabilmente una delle cose più facili
che mi siano mai capitate. Infatti, per dirla in breve, un
dorso digitale "a scansione" si comporta dal punto di vista
funzionale e operativo né più né meno come uno scanner
piano, economico o professionale che sia. Anche il software
di gestione, come vedremo meglio tra breve, non differisce
molto nell'impostazione generale dai driver degli scanner
piani o per pellicola (preview, correzione contrasto, alte
luci, ombre, profili ColorSync ecc.), naturalmente con
l'aggiunta di alcune funzionalità superiori,
specificatamente implementate per l'utilizzo fotografico
dell'apparecchio e tali da non confondere il fotografo
professionista al lavoro, ben abituato a ragionare in
termini di diaframma, tempi d'esposizione, sensibilità ISO
dei materiali, ecc. ecc. La soluzione del dorso elettronico
installato sulla propria fotocamera ha in più il vantaggio
che l'aspetto digitale, innovativo riguardo il modo di
lavorare del fotografo, occupa se vogliamo solo un'appendice
finale, sebbene non trascurabile!, della lavorazione
complessiva. Il fotografo posizionerà le sue luci come al
solito, utilizzerà i propri obiettivi e le proprie
fotocamere, comporrà l'inquadratura come ha sempre fatto e
solo al momento del "click" agirà sul pulsante del mouse e
non su quello dell'abituale scatto flessibile. Per essere
più precisi, i click saranno due: col primo effettuerà il
preview dell'immagine, col secondo effettuerà l'acquisizione
vera e propria dopo aver regolato ancora qualche parametro
fondamentale sul computer (non ultima la risoluzione
utilizzata e il formato cromatico desiderato, RGB o CMYK).
Rispetto ad uno scanner, per così dire, "normale", nel caso
del dorso digitale posizionato al posto del magazzino
portapellicola delle fotocamere tradizionali, l'originale da
acquisire non è un documento reale, tangibile ed osservabile
anche ad occhio nudo, ma è l'immagine virtuale riprodotta
dall'obiettivo di ripresa puntato sul soggetto. La stessa
immagine che avrebbe impressionato la pellicola fotografica,
viene "rubata" al volo dal sensore CCD che si muove lungo il
piano di messa a fuoco e immediatamente trasformata in
digitale e spedita al computer via SCSI dall'ampia sezione
elettronica di conversione A/D presente all'interno del
dorso.
Da ciò si evince che non è possibile riprendere con un
dispositivo di questo tipo immagini in movimento, in quanto
la scansione dura alcuni minuti durante i quali il soggetto
ripreso (o, meglio, l'oggetto ripreso) deve rigorosamente
rimanere immobile. Quindi foto in studio di natura still
life a più non posso, ma assoluta esclusione di riprese di
soggetti vivi e vegeti, come modelle, animali, orologi
carichi. Naturalmente esistono anche dorsi digitali a scatto
singolo (one shot) utilizzabili anche per la ripresa di
soggetti in movimento, ma almeno allo stato attuale sono
affetti ancora da qualche problema. Innanzitutto, pur
costando in alcuni casi ancora di più, offrono una
risoluzione grafica di gran lunga inferiore a quella
ottenibile con un dorso digitale a scansione. L'unico
esemplare attualmente in commercio accreditato di una
risoluzione grafica interessante (ma comunque ben lontana
dalle potenzialità offerte dal PowerPhase) è il Dicomed
BigShot, basato su un incredibile sensore CCD da ben sedici
milioni di pixel (4.000x4.000).
Ma i sensori CCD, come noto, sono solo monocromatici e
dunque la risoluzione reale delle versioni a colori degli
stessi dispositivi possono contare su un numero di punti a
colori tre volte inferiore a seguito della microfiltratura
RGB necessaria per risalire alle caratteristiche cromatiche
dell'immagine ripresa. Questo a meno di non effettuare tre
scatti successivi, anteponendo all'obiettivo tre filtri
monocromatici rosso, verde, blu, ma ricadendo però anche in
questo caso nell'impossibilità di effettuare acquisizioni
dirette in digitale di soggetti/oggetti animati.
A dirla tutta...
Aspettavamo dalla Fowa la versione "entry level" del dorso
digitale, il Phase One StudioKit, accreditato di una
risoluzione di "soli" 3.500x3.500 pixel (file da circa 35
megabyte) e proposto ad un prezzo di vendita molto più
invitante, meno della metà. E' dedicato a chi intende
utilizzare l'acquisizione diretta delle immagini a
risoluzioni non elevatissime e, giustamente, non vuole
accendere un mutuo ipotecario per passare al digitale. In
più, la versione "economica" del Phase One, è acquistabile
anche in "bundle" ad un prezzo estremamente vantaggioso
(meno di trenta milioni oltre l'IVA) assieme ad una
fotocamera Hasselblad dal costo di circa sette milioni, con
la quale naturalmente è possibile anche effettuare riprese
tradizionali, grazie al magazzino portapellicola fornito a
corredo con l'apparecchio.
Dal punto di vista estetico, a proposito del PowerPhase c'è
davvero poco o nulla da dire. Non è altro che uno
scatolottino nero da agganciare al corpo macchina in luogo
del tradizionale magazzino portapellicola. Lateralmente
troviamo il connettore della porta SCSI che, attraverso
l'apposito cavo fornito a corredo, riceve anche
l'alimentazione del dispositivo tramite il grosso
trasformatore separato. Come in ogni dispositivo SCSI,
troviamo un selettore per l'indirizzo di periferica e un
deviatore per attivare o escludere il terminatore interno
della catena dei dispositivi. La presenza di due LED
colorati segnala rispettivamente lo stato di accensione e
quello di acquisizione immagine. Null'altro.
Anche dal punto di vista software non sussiste alcun tipo di
problema: al dorso digitale è abbinato un CD-ROM contenente
il driver di gestione disponibile in più lingue tra cui
l'italiano: l'installazione è assolutamente automatica, e
non dura più di una manciata di secondi. Sul medesimo
supporto sono presenti un po' di immagini d'esempio
acquisite con i differenti modelli di dorsi Phase One,
alcune curve gamma predefinite, un'utility per effettuare
l'upgrade del firmware dell'apparecchio, i manuali in
formato elettronico Adobe Acrobat (il cui "reader" è
presente sul medesimo CD-ROM), i file di test per la
calibrazione cromatica del monitor, alcuni script per la
conversione automatica dei ColorTag e dei profili ColorSync,
una versione demo di PhotoRace Color Management.
Ciò premesso
Andiamo a incominciare. Collegato il dorso digitale alla
porta SCSI del proprio computer e lanciato l'apposito
programma di gestione siamo virtualmente pronti ad
effettuare la nostra prima acquisizione. La fonte di
illuminazione (questa è una delle carte vincenti del Phase
One) può essere una qualsiasi sorgente luminosa, dalle
comuni lampade al tungsteno agli speciali tubi fluorescenti
"daylight" caratterizzati da una temperatura colore simile
alla luce diurna media. Vanno bene, tanto per essere chiari,
finanche le lampade pilota dei comuni flash da studio,
utilizzate per dosare adeguatamente l'illuminazione della
scena ripresa, prima dello scatto vero e proprio. Nelle
riprese tradizionali l'esposizione avverrà tramite luce
flash, nel nostro caso di un dorso digitale a scansione, non
ci sarà alcun lampo in quanto utilizzeremo per la ripresa le
stesse sorgenti luminose delle lampade pilota. L'hardware
presente nel dorso digitale compensa automaticamente il
flickering delle lampade, che in un'esposizione prolungata
come quella necessaria ad un dorso a scansione, si
tradurrebbe inesorabilmente in una variazione ciclica
dell'esposizione, ripetuta alla frequenza di rete, in Italia
a 50 Hz.
Inoltre, secondo quanto indicato dal costruttore, prima di
ogni ripresa è opportuno anteporre all'obiettivo uno dei due
filtri infrarosso forniti a corredo (uno per le fonti di
illuminazione generiche, il secondo specifico per le lampade
al tungsteno) in quanto il sensore CCD utilizzato,
diversamente dal nostro apparato visivo, è particolarmente
sensibile alle radiazioni di questo tipo al punto da
lasciarsi influire negativamente sulla resa cromatica
complessiva se utilizzato "nudo e crudo".
Anche il bilanciamento cromatico del bianco è un'operazione
quanto mai semplificata. E' sufficiente inserire nella scena
ripresa una cartina di test con i livelli di grigio,
effettuare una veloce anteprima dell'immagine e selezionare
col mouse un grigio neutro di riferimento. Il software
bilancia istantaneamente la resa cromatica complessiva,
compensando automaticamente la temperatura colore delle
lampade utilizzate.
Nella finestra di Preview del software di gestione troviamo
i comandi principali per impostare le varie funzioni. Altri
comandi sono presenti nei menu a tendina e sono quasi tutti
richiamabili anche attraverso scorciatoie da tastiera. La
prima operazione da compiere sarà l'anteprima dell'immagine
che impegna il sistema per una ventina di secondi. A questo
punto possiamo decidere il taglio, la risoluzione
utilizzata, le dimensioni dell'immagine di output e il nome
dei file che verra' generato. Teoricamente potremmo già
agire sul tasto di acquisizione e, nel giro di qualche
minuto (da uno a quindici, a seconda della risoluzione
utilizzata e del tempo d'esposizione impostato), avere
bell'e pronta la nostra immagine digitale. E' meglio, però,
non farsi prendere troppo dall'emozione e procedere con un
po' più di cognizione di causa. Innanzitutto dobbiamo
verificare se l'esposizione è corretta. Un'apposita scala
graduata presente in alto a destra indica l'eventuale sovra
o sottoesposizione. Se l'indicatore è situato nella zona
verde siamo a posto anche da questo punto di vista, se si
trova nella parte rossa o in quella bianca dobbiamo ridurre
o aumentare l'illuminazione (effettuando subito dopo
un'altra anteprima di controllo), variare l'apertura di
diaframma dell'obiettivo o modificare il tempo di
esposizione del sensore CCD. Inutile sottolineare che con
tempi di esposizione lunghi aumenta in conseguenza la durata
della scansione (passando magari da pochi minuti a molti
minuti) quindi se non abbiamo molto tempo a disposizione è
più opportuno, quando possibile, aumentare l'intensità delle
luci.
Un'altra operazione da compiere prima dell'acquisizione vera
e propria riguarda il contrasto generale dell'immagine ed
eventualmente la sua curva gamma. Questo soprattutto per
sfruttare al meglio i 36 bit pixel del convertitore
analogico/digitale del dorso Phase One, ottimizzando in
questo modo i 24 bit/pixel disponibili in uscita nel formato
TIFF. Ci viene in aiuto, in questa fase, la visualizzazione
dei "fuori gamma", mostrati in rosso o in verde
nell'immagine di anteprima, per poter facilmente riconoscere
le zone di ombra o di alte luce dove, presumibilmente,
stiamo perdendo dettaglio cromatico. Inutile dire, inoltre,
che per verificare a video il risultato finale è
assolutamente indispensabile disporre di un monitor a colori
stabile e calibrato e, naturalmente, di una scheda video di
provata qualità in grado di visualizzare come minino i
canonici 16.7 milioni di colori della modalità "truecolor".
Per gli utenti che non dispongono di un monitor di fascia
alta (come gli ottimi Reference Calibrator della Barco)
viene in aiuto un'apposita finestra "gamma", quest'ultima
impostabile solo nei valori prefissati di 1.8 e 1.0, che
visualizza una scala di grigio per poter regolare (ad
occhio) luminosità e contrasto del proprio dispositivo di
visualizzazione.
Il software di gestione permette inoltre di regolare il
microcontrasto immagine per aumentare la risoluzione
apparente. Tale operazione è pressoché superflua
nell'utilizzo di risoluzioni native (la massima o
sottomultipli della massima, metà, un quarto, ecc.) nelle
quali il driver non è costretto ad effettuare un
ricampionamento dei dati digitali provenienti dalla sezione
A/D del dorso digitale. Tutto sommato, anche in
considerazione del fatto che l'applicazione di una maschera
di contrasto fa lievitare ulteriormente i già lunghi tempi
di acquisizione immagine, in tutti i casi potrebbe essere
consigliabile effettuarla successivamente da Photoshop, in
modo da verificare in tempo reale l'effetto più o meno
marcato del filtro applicato.
Dal punto di vista cromatico la finestra più interessante è
quella relativa ai profili colore basati su ColorSync 2.0.
Indicheremo innanzitutto il tipo di codifica impiegata
(tricromia RGB o quadricromia CMYK), il tipo di dorso
digitale e la fonte di illuminazione utilizzata (con
conseguente applicazione di uno dei due filtri IR forniti a
corredo), il monitor impiegato per la visualizzazione
dell'immagine ripresa, il tipo di stampante per la codifica
in quadricromia. Detto in altri termini, il software di
gestione del dorso digitale Phase One tiene conto sia della
sorgente che della destinazione, senza tralasciare la
visualizzazione a video, "trasportando" sempre e comunque
immagini a colori calibrate per i singoli dispositivi. Come
dovrebbe esser fatto in tutte le applicazioni di fotografia
digitale...
Concludendo
Vi avevo già anticipato in apertura che il dorso digitale
PowerPhase consente risultati di fotografia digitale
assolutamente fuori norma, difficilmente ottenibili con i
metodi tradizionali (pellicola più acquisizione tramite
scanner) e/o con i dorsi digitali "one shot" basati su
sensori CCD superficiali a colori. Tenete presente che con
7.000x7.000 pixel è possibile raggiungere a 300 punti per
pollice il formato 60x60 cm, ben oltre il formato A2, che
difficilmente viene stampato tipograficamente a risoluzioni
così elevate. L'unico aspetto negativo, se possiamo
indicarlo tale, del PowerPhase rimane il prezzo di vendita
(quasi settanta milioni se includiamo l'IVA!) che ne limita
fortemente l'utilizzo non solo all'ambito strettamente
professionale, ma riducendone di fatto l'applicazione a quei
pochissimi campi in cui è assolutamente indispensabile
disporre del file immagine pochi minuti dopo l'ultimazione
del set di ripresa.
Ben più appetibile appare l'offerta StudioKit, il dorso
digitale da 3.500x3.500 pixel, che con "appena" una ventina
abbondante di milioni permette comunque di ottenere file a
300 dpi da 30x30 cm, con una qualità immagine anche in
questo caso eccellente e del tutto paragonabile a quella
fotografica. Siamo ancora lontani, purtroppo, dal giorno in
cui sarà possibile lavorare professionalmente in digitale a
costi "umani", paragonabili a quelli di un buon obiettivo da
ripresa o di un corpo macchina sofisticato. Chi vuole
entrare subito in questo affascinante campo è costretto a
fare qualche sacrificio in più, certamente ripagato dalla
maggiore produttività che un dispositivo del genere
indiscutibilmente offre.
Phase One PowerPhase
Produttore:
Phase One Denmark A/S
Roskildevej 39
DK - 2000 Frederiksberg - Danimarca.
Distributore:
Fowa Professional SpA
Via Tabacchi, 29
10132 Torino - Tel. 011/81441
Prezzi al pubblico (IVA esclusa):
PowerPhase 7.000x7.000 pixel, interfaccia SCSI,
alimentatore, sw di gestione
L. 59.000.000
StudioKit 3.500x3.500 pixel, interfaccia SCSI, alimentatore,
sw di gestione, fotocamera Hasselblad 501C, magazzino
portapellicola 120, obiettivo Carl Zeiss Planar 80/2.8
L. 28.800.000
NB: Il Power Macintosh 9600/200 visibile nella foto
d'apertura di quest'articolo non fa, ovviamente, parte del
kit Phase One. Per questa "prova su strada" ci è stato
gentilmente messo a disposizione dalla EasyByte (06/5920804)
che ringraziamo per la squisita disponibilità.
(Riquadro)
Hasselblad FlexBody
di
Andrea de Prisco
Se è vero (com'e vero) che la fame vien mangiando, se siete
minimamente interessati al mondo Hasselblad e, più in
generale, alle riprese still-life in studio (ma anche a
quelle d'architettura in esterni), non potete rimanere
fatalmente attratti da quell'Uovo di Colombo denominato
FlexBody. Basta riflettere sul nome e dare uno sguardo alle
foto che accompagnano questo riquadro per capire tutto. E'
praticamente una piccola fotocamera a banco ottico,
decentrabile e basculabile per quel che riguarda il corpo
posteriore, compatibile con le "comuni" ottiche Carl Zeiss e
con i magazzini portapellicola (nonché i dorsi digitali) per
Hasselblad. Grazie al basculaggio permette di estendere
moltissimo la profondità di campo nelle riprese di oggetti
disposti a diverse distanza su una superficie piatta
inclinata rispetto al punto di ripresa (in base al principio
della convergenza dei piani, noto come regola di Scheimpflug);
il decentramento, utilizzato entro i non troppo ampi limiti
di copertura degli obiettivi Zeiss (progettati per un
utilizzo statico sulle fotocamere Hasselblad) permette di
correggere facilmente le linee cadenti nelle riprese, per
necessità o per scelta compositiva, non perfettamente in
asse.
Come nelle fotocamere a banco ottico di maggiore formato,
l'inquadratura si effettua sullo schermo di messa a fuoco
posteriore da togliere al momento dello scatto (digitale o
tradizionale che sia). Nel primo caso al suo posto
installeremo il dorso elettronico Phase One, nel secondo il
consueto magazzino portapellicola, in quest'ultimo caso non
prima di aver chiuso manualmente l'otturatore dell'obiettivo
prima di sfilare il volet di protezione della pellicola. Per
facilitare la composizione dell'immagine e la sua perfetta
messa a fuoco, al corpo FlexBody è abbinato un apposito
cappuccio reflex tramite il quale abbiamo la possibilità di
visionare l'inquadratura dall'alto, speculare come accade
con tutte le fotocamere medio formato prive di pentaprisma.
Lo schermo di messa a fuoco è ad alta luminosità (Acute Matt
D) e per mantenere una visibilità ottimale anche basculando
il corpo posteriore sono forniti a corredo due schermi di
correzione rispettivamente per 10° e 20° di inclinazione.
Dal punto di vista costruttivo (quando si dice qualità...)
il FlexBody è interamente costruito in duralluminio, una
lega caratterizzata da robustezza e leggerezza allo stesso
tempo, con la sola eccezione del soffietto, realizzato a
mano in uno speciale materiale che non irrigidisce alle
basse temperature. Non mancano, per finire, né una livella a
bolla d'aria inserita nel corpo posteriore, né una manovella
di avanzamento pellicola per tutti i magazzini del sistema
Hasselblad.
Molto, molto interessante...
Articolo pubblicato
su
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