Articolo pubblicato sul n. 187 di MCmicrocomputer (Edizioni Technimedia Srl - Roma) del settembre 1998
Prove prodotti: Se è indubbio che la "prima periferica" da collegare al computer è la stampante, non è altrettanto evidente - statisticamente parlando - a chi spetta il "secondo posto" tra i dispositivi periferici che l'utente medio decide di utilizzare con il proprio PC. Dipende, come sempre, dal tipo di utilizzo cui è principalmente destinato il "pargolo digitale": può essere, ad esempio, un bel masterizzatore di CD-ROM se siamo soprattutto interessati ad effettuare compilation dei nostri CD audio preferiti (nel rispetto del copyright, s'intende!); una catena di strumenti musicali MIDI se intendiamo dirigere la nostra piccola orchestra elettronica; un modem/fax se la nostra principale aspirazione è una sana navigazione Internet; un sistema di acquisizione audio/video se abbiamo sempre sognato di diventare dei piccoli Fellini... o un (indispensabile) dispositivo scanner se, come credo, non ne potete proprio fare a meno. L'indispensabile, scritto tra parentesi, dipende ovviamente dai punti di vista, ma se siete poco-poco interessati alla fotografia digitale converrete sicuramente col sottoscritto... Tutto questo non senza tenere in giusta considerazione il fatto che ormai i prezzi di vendita al pubblico degli apparecchi di questo tipo sono diventati quanto mai appetibili (accontentandosi si riesce a spendere anche meno di duecentomila lire, ma già con una cifra doppia - paragonabile a quella testé spesa per una stampantina ink-jet di fascia media - si trovano in commercio prodotti molto interessanti!) sia riguardo gli apparecchi "flatbed" - gli scanner piani - sia per i dispositivi di acquisizione diretta di negativi e diapositive, anch'essi disponibili oggi a prezzi due o tre volte inferiori a quelli di qualche anno fa. Certo, in quest'ultimo caso difficilmente la spesa scende sotto il milione, ma potremo contare su una qualità immagine decisamente più interessante, in molti casi con la possibilità di automatizzare facilmente l'acquisizione di più originali disponibili su strisce di negativo o montati su telaietti per diapositive. Gli scanner piani, oggetto di questa prova, dal canto loro, oltre a costare significativamente meno dei corrispondenti apparecchi per pellicola, da una parte offrono quale marcia in più la possibilità di acquisire anche quegli originali fotografici di cui non si dispone più il negativo (o la diapositiva), dall'altra sono utilizzabili anche per applicazioni ben lontane dalla fotografia digitale, quale potrebbe essere la digitalizzazione di testi stampanti attraverso un comodo programma di OCR (riconoscimento ottico di caratteri) o, più in generale, l'acquisizione di qualsiasi tipo di documento testuale/grafico/fotografico che intendiamo rendere immortale una volta trasformato in formato numerico.
L'utente medio (e il suo scanner...)
Come già successo quasi un anno e mezzo fa, quando definimmo attraverso le pagine della rivista la nuova metodologia di prova per le stampanti a getto d'inchiostro messa a punto dal team di MCmicrocomputer, prima di entrare nello specifico dei test implementati, diamo uno sguardo al nostro consueto (e ormai arcinoto) "utente medio" cercando di capire qual è il dispositivo scanner che maggiormente fa al caso suo. Diversamente dalle stampanti a getto di inchiostro, dove i prezzi di vendita di tali apparecchi mediamente oscillano tra le poche centinaia di migliaia di lire al milione o poco più (diciamo che tra la stampante più economica e quella più costosa ci "corre" al massimo un fattore quattro o cinque), nel caso degli scanner troviamo facilmente sia oggetti da 180-200 mila lire (spesso anche IVA inclusa) sia apparecchi di fascia strettamente professionale, sempre "flatbed" e in formato A4, anche venti o trenta volte superiore. Inutile aggiungere che se abbandoniamo il formato A4 e volgiamo il nostro sguardo sulle misure maggiori, oppure guardiamo in lontananza nell'immenso mondo degli scanner professionali a tamburo (e non), come niente il fattore moltiplicativo supera abbondantemente quota 1.000 (leggasi mille!) con dispositivi di acquisizione per applicazioni grafiche/tipografiche e di fotocomposizione dal prezzo dell'ordine delle diverse centinaia di milioni. Naturalmente questi sono proprio gli apparecchi che, almeno in questa sede, ci interessano di meno. Il nostro "utente medio", come noto, vuole un apparecchio sicuramente compatibile con le proprie applicazioni, in particolar modo con... Microsoft Money o con qualsiasi altro programma di gestione delle finanze personali. E' interessato, ovviamente, ai modelli molto economici, ma non per questo non è attratto dagli apparecchi di fascia leggermente più alta attraverso i quali, a fronte di un esborso economico per l'acquisto appena più pronunciato, si ottengono risultati sensibilmente migliori e in minor tempo. C'è da dire al riguardo che ormai la quasi totalità degli scanner piani di fascia bassa effettuano la digitalizzazione dell'originale in un'unica "passata", con un solo movimento longitudinale del carrello di lettura, alternando attraverso la consueta sintesi additiva RGB l'emissione della tripla fonte luminosa rosso-verde-blu per la lettura cromatica del nostro originale da digitalizzare. Un'altra differenza significativa tra scanner ultraeconomici e quelli di fascia media (per questi ultimi parliamo comunque di apparecchi dal costo inferiore alle cinque o seicentomila lire) riguarda, oltre all'affidabilità e alla robustezza stessa dei dispositivi, la stabilità nel tempo in merito ai risultati ottenibili. Se vogliamo ottenere il massimo dal nostro scanner dobbiamo essere in grado, in un certo senso, di familiarizzare con "lui": sapere, in altre parole, con quali tipi di originali si ottiene il meglio, potendo per quanto possibile contare su una minima costanza di risultato. Non deve succedere, in altre parole, che un determinato originale un giorno venga acquisito in un modo (con una determinata dominante, con precisi valori di luminosità e contrasto) e il giorno appresso in maniera completamente diversa. Questo sempreché il nostro sport preferito sia la perdita di tempo (vedi anche "arte dei pazzi" e patologie limitrofe). Non vorrei sembrare (il solito) esagerato, ma a combattere con gli scanner, con le stampanti a colori, con i monitor si rischia - facilmente! - di diventare matti. E il bello - questo viene sempre dimenticato da tutti - non possiamo nemmeno esser certi che la colpa del disastro cromatico tanto disatteso sia imputabile allo scanner o alla stampante nel momento in cui "in mezzo" c'è come noto anche un monitor a colori e una scheda grafica. E, volendo, un sistema operativo che, cromaticamente parlando, dovrebbe essere in grado di far convivere felicemente utente (medio, sempre "lui"!), computer e dispositivi periferici...
Ciò premesso
La metodologia di prova per gli scanner messa a punto da MCmicrocomputer, come per il caso delle stampanti ink-jet, verte sia su test di natura quantitativa che qualitativa. Viene valutata quantitativamente la velocità di scansione in varie modalità e per vari formati degli originali; la risoluzione reale è come di consueto misurata attraverso la (brutale, ADP non perdona!) lettura di un'apposita dima "stampata" su pellicola fotografica ad altissima definizione. Qualitativamente, infine, viene valutata la resa cromatica del dispositivo, attraverso l'acquisizione di un'immagine fotografica di test ricca di dettagli e di colori (la chiesa di Basilea, in Svizzera, in mezzo ai fiori gialli, rossi, viola) non senza misurare la reale corrispondenza cromatica con l'originale, attraverso una cartina di test prodotta da Kodak e conforme allo standard ANSI IT8.7/2 (se fossi un po' più spiritoso aggiungerei: scala A, quinto piano, interno 14, citofonare). Su questa sono riportati alcuni colori campione di cui sono noti i valori di tristimolo X,Y,Z e la corrispondente codifica CIELAB (vedi riquadro a pagina XXXXXXXXXXXXXX) che offre l'intera cromaticità percepibile dall'occhio umano attraverso uno spazio metrico tridimensionale, sul quale è possibile misurare con assoluta precisione la "distanza", percettivamente parlando, tra due colori qualsiasi tra tutti (proprio tutti!) quelli visibili dal nostro apparato visivo umano. Qualsiasi-qualsiasi, oppure (questo è ben più interessante!) tra i colori presenti sulla nostra cartina test prodotta da Kodak e quelli effettivamente percepiti dallo scanner.
Velocità
Il test di velocità è stato effettuato eseguendo due acquisizioni su un originale in formato A4 e due (o quattro) acquisizioni su un originale fotografico in formato 10x15 cm. Per ogni originale è stato effettuata un'acquisizione a 16.7 milioni di colori (24 bit/pixel, codifica RGB) e un'acquisizione in bianco e nero a 256 livelli di grigio (8 bit/pixel). Per il formato minore (10x15 cm) si esegue in entrambi i casi (colore e bn) un'acquisizione a 300 dpi e una alla massima risoluzione ottica (dichiarata), ovviamente se questa risulta essere diversa dai "minimali" trecento punti per pollice. Nel caso dell'originale fotografico in formato A4, il test di velocità si effettua solo a 300 dpi (sia per il colore che per il bn) tenuto conto che un'immagine di questa grandezza a questa risoluzione corrisponde ad un file immagine di circa 24 megabyte, abbondantemente al di sopra delle esigenze tipiche del nostro affezionatissimo e fedelissimo "utente medio". Per la misurazione della velocità di acquisizione, non è stata effettuata alcuna regolazione preventiva riguardante la resa cromatica o i livelli di luminosità/contrasto, impostando tutti i parametri di default e/o le funzionalità automatiche di acquisizione. Riassumendo, per il test di velocità sono state per ogni apparecchio provato le seguenti acquisizioni:
1) originale 20x30 - modalità colore 24 bit/pixel - risoluzione 300 dpi 2) originale 20x30 - modalità greyscale 8 bit/pixel- risoluzione 300 dpi 3) originale 10x15 - modalità colore 24 bit/pixel - risoluzione 300 dpi 4) originale 10x15 - modalità greyscale 8 bit/pixel- risoluzione 300 dpi 5) originale 10x15 - modalità colore 24 bit/pixel - risoluzione massima ottica dichiarata 6) originale 10x15 - modalità greyscale 8 bit/pixel - risoluzione massima ottica dichiarata
Qualità
La prova di qualità è stata effettuata digitalizzando a 300 punti per pollice (sempre a 24 bit/pixel in modalità RGB) la nostra stampa di riferimento approntata in formato A4. Per questa prova l'acquisizione è effettuata con la massima cura ed attenzione, cercando di ottenere la migliore resa cromatica messa a disposizione dallo scanner ed utilizzando allo scopo tutte le possibili regolazioni manuali messe a disposizione dal driver software dell'apparecchio. Una seconda prova è stata effettuata digitalizzando a 150 dpi la cartina test Kodak Q-60 Color Input Target (conforme, come detto, allo standard ANSI IT8.7/2), sulla quale sono presenti oltre alla scala dei grigi e ai colori primari di sintesi additiva e sottrattiva, anche alcune caselle test con vari tipi di tonalità cromatiche di "composizione" nota. La terza prova è stata effettuata acquisendo a 100 punti un testo in bianco e nero (impostando comunque lo scanner a 256 livelli di grigio) prendendo come riferimento la parte bassa del "tamburino" di MC (sul numero di luglio/agosto a pag. 12) dalla riga "MCmicrocomputer è una pubblicazione Technimedia..." fino al bollino "Associato USPI" presente in basso a destra. In questa porzione di testo sono presenti caratteri in corpo 7 in chiaro, in grassetto, in corsivo, su fondo bianco e su fondo colorato.
Risoluzione reale
Per la prova della risoluzione reale si utilizza la dima di pellicola fotografica ad alta definizione realizzata appositamente da MCmicrocomputer per i valori campione di 1200, 900, 720 punti per pollice. In ogni gruppo di linee la risoluzione massima corrisponde alle linee più fitte, quelle via via più grosse corrispondono rispettivamente a fattori moltiplicativi di 1/2, 1/3, 1/4 e 1/5. Così, la dima da 1200 dpi comprende anche i valori 600, 400, 300 e 240; la dima da 900 dpi riguarda anche i valori 450, 300, 225, 180; la dima a 720 rileva anche le risoluzioni di 360, 240, 180 e 144 punti per pollice. Ovviamente nell'acquisizione delle tre dime è stata impostata la massima risoluzione ottica offerta dallo scanner e, nel caso in cui l'apparecchio abbia una risoluzione orizzontale diversa da quella verticale, è stata ripetuta la lettura per entrambi i valori ammessi. Come avviene per la dima della metodologia di prova delle stampanti a getto di inchiostro, ufficializzata sul numero 173 di MCmicrocomputer del maggio dello scorso anno, un gruppo di lettura è valido se si riescono a contare (nel bloccchetto verticale) esattamente il numero di linee indicato in basso. Per la validità del campione, la stessa densità di liniette deve naturalmente essere visibile anche nel blocchetto orizzontale: nel caso in cui si ottengano nei due versi valori differenti, si assume come risultato valido la media dei due valori rilevati. In definitiva, il risultato della misurazione è sempre un solo numero che identifica univocamente la risoluzione ottica misurata dagli 'MC-labs".
Colore (senza) stupore!
di Andrea de Prisco
Nel 1931 la Commission Internationale de l'Eclairage (Commissione Internazionale per l'Illuminazione) ha definito un diagramma di cromaticità standard che comprende tutte le tinte visibili dall'occhio umano. Si basa, come nel caso della limitatissima codifica RGB utilizzata dalle schede grafiche, dagli scanner e dai monitor, sull'utilizzo tre colori primari che, opportunamente miscelati tra loro in sintesi additiva, permettono di ottenere tutti i colori esistenti in natura. A differenza, però, dei metodi RGB o CMY (sintesi additiva e sottrattiva), il diagramma di cromaticità proposto dalla CIE non dipende dal comportamento di questo o quel dispositivo di visualizzazione, stampa, acquisizione, in quanto è basato sul concetto di "Osservatore Standard". Questo è definito a partire dalle proprietà del nostro sistema visivo e si basa su analisi sistematiche effettuate su un vasto campione di osservatori umani (per la tranquillità di tutti: sicuramente lì in mezzo ci saranno stati anche un certo quantitativo di futuri "utenti medi"). Già nel primo dopoguerra fu notata l'impossibilità di riuscire a riprodurre per sintesi additiva tutti i colori percepibili dall'occhio umano, comunque si scegliesse la terna di primari reali da miscelare tra loro in sintesi additiva (colpo di scena!). Solo aggiungendo un colore primario alla tinta da codificare era possibile individuare una terna cromatica che la riproducesse fedelmente: fu ipotizzato così che la risposta dei nostri fotorecettori retinici (i coni) avesse un andamento negativo per alcune frequenze dello spettro visibile. Bel pasticcio! Fatta la legge (fisica) trovato l'incanno (percettivo!). I primari scelti dalla CIE per generare tutti i colori visibili sono tinte ipersature: colori (in realtà, non essendo visibili, non dovrebbero essere indicati come tali) più saturi di quanto i nostri fotorecettori retinici siano in grado di decifrare. I tre "primari immaginari", con notevole sforzo di fantasia, sono stati denominati X, Y, e Z. X corrisponde a un rosso violaceo ipersaturo contraddistinto da due picchi nello spettro cromatico rispettivamente intorno ai 450 nm e ai 600 nm, Y e Z corrispondono a tinte spettrali - sempre irrealisticamente ipersature - con lunghezza d'onda dominante rispettivamente di 520 e 477 nanometri. Inoltre la tinta Y (quella corrispondente al "verde ipersaturo") ha un andamento proporzionale alla nostra sensibilità alla luminosità delle tinte. Scelti i tre primari tramite i quali è possibile ottenere, per sintesi additiva, qualsiasi tinta reale è possibile a questo punto utilizzare uno spazio tridimensionale, avente per assi i tre primari utilizzati, per "catalogarle" tutte. Nel 1976 (ben 45 anni dopo il primo diagramma e ormai agli albori della rivoluzione informatica... personale) la CIE ha partorito un nuovo diagramma denominato UCS (Uniform Color Scale) direttamente derivato dal primo "semplicemente" rimappando i colori in modo tale da risultare tra loro equidistanti a parità di differenza percettiva. Realizzata la nuova mappa cromatica, hanno visto la luce contemporaneamente due nuove codifiche denominate L*a*b* e L*u*v*, la prima indicata per sintesi additiva, la seconda per la sintesi sottrattiva. In quella che a noi interessa maggiormente, la codifica L*a*b* (che d'ora in poi chiameremo Lab o CIELAB) i colori vengono disposti all'interno di uno spazio tridimensionale i cui tre assi sono "L", "a" e "b". "L" identifica la luminosità e può avere solo valori positivi, di solito da 0 a 100, ma può essere utilizzata anche una risoluzione diversa (ad esempio da 0 a 255 per sfruttare l'intera capacità degli otto bit). "a" e "b" sono le caratteristiche cromatiche: con la prima si spazia dal verde al rosso, con la seconda dal blu al giallo. Il loro range di valori varia di norma da -300 a +300, ma anche in questo caso possono essere utilizzate risoluzioni differenti: Photoshop, ad esempio, utilizza come range di valori quello compreso tra -128 e +127, impiegando anche per questi 1+1 byte per la loro codifica. Definito uno spazio cromatico percettibilmente uniforme, in quanto metrico è possibile misurare in maniera piuttosto agevole quanto siano "distanti" tra loro due colori, ovvero quanto siano tra loro diversi. Nasce così il ∆E (Delta E) che rappresenta la distanza euclidea tra due qualsiasi tinte dello spazio cromatico CIELAB che, per come è stato costruito (a partire dal CIExy), è indipendente dal dispositivo utilizzato per la visualizzazione.
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