Articolo pubblicato sul n. di
Reflex
(Editrice Reflex Srl - Roma) nel giugno 1993
L'immagine elettronica
di Andrea de Prisco
Fotografia ed elettronica appartengono, se vogliamo, alla
stessa generazione tecnologica. Certo la fotografia
sembrerebbe essere nata molto prima, forse anche un secolo
prima, ma se risaliamo ai veri padri della fisica che sta
dietro anche al piu' evoluto chip, ai primi sperimentatori,
scopriamo che i periodi storici si sovrappongono
sufficientemente. Chi avrebbe pero' pensato, un secolo e
passa fa, che la fotografia e l'elettronica (della quale a
quei tempi non era nemmeno chiaro dove si sarebbe andati a
"parare") si sarebbero sempre piu' avvicinate fino al punto
che oggi non e' piu' facile delineare una netta separazione
tra i due mondi?
Basta prendere un attuale modello di evoluta fotocamera
reflex multiprogram, multifunzione, multi... tutto, per
rendersi conto che l'elettronica la fa veramente da leone:
se poi pensiamo che, comunque, siamo ancora agli inizi
potremmo allora preoccuparci. Oppure gioire, a seconda se
siamo tecnofili o conservatori. A me, personalmente, non
dispiacciono ne' l'uno ne' l'altro punto di vista. Potrei
affermare di provare le identiche pulsioni emotive tanto
afferrando una possente Nikon F4 quanto un splendida Leica a
telemetro completamente (e ci mancherebbe altro) meccanica.
Siamo agli inizi perche' l'elettronica ancor oggi nella
fotografia amatoriale per cosi' dire evoluta e' "di
complemento" alle impostazioni generali degli apparecchi che
continuano ad essere fortemente tradizionali. L'obiettivo
c'era e c'e' ancora. Parimenti dicasi per l'instancabile
pellicola e per i sofisticati otturatori: che poi la messa a
fuoco sia automatica, l'esposizione calcolata da un computer
di bordo, avanzamento e riavvolgimento effettuati con un
silenzioso motore, sono solo elementi di contorno di una
fotografia piu' tradizionale che mai.
Sul numero di Maggio di Reflex forse vi sarete divertiti a
leggere (come il sottoscritto a scrivere) l'articolo
riguardante un'ipotetica reflex del futuro, basando le
previsioni non su modelli fantascientifici ma su tecnologie
consolidate o in via di consolidamento che ora come ora
avrebbero l'unico handicap nel fattore costi.
In questo articolo affronteremo il tema della fotografia
elettronica al giorno d'oggi, curiosando un po' qua un po'
la' per capire cosa e' stato fatto, come e' stato fatto,
come accedervi. Certo non sara' un esauriente trattato (non
basterebbero volumi e volumi) ma saro' ben lieto, quanto
meno, di introdurre questo affascinante argomento. Magari
proprio per tutti quei lettori, buoni conoscitori della
fotografia tradizionale (leggendo Reflex sarete sicuramente
interessati all'argomento), anche completamente a digiuno di
elettronica ed informatica.
Non spaventatevi, non sono ne' un genio ne' un luminare
dell'argomento: sono come voi un appassionato di fotografia,
che vivendo giorno e notte circondato per motivi di lavoro
dai computer (veramente di ogni tipo) ho sempre guardato
all'informatica e alla fotografia con due occhi distinti ma
con un unico cervello. Adesso facciamo un gioco: io fischio
e grido "signori in carrozza", voi continuate a leggere e
viaggerete con me nel mondo della fotografia elettronica.
L'era digitale: i primordi
Ricordate i primissimi orologi elettronici con indicazione a
diodi luminosi LED a sette segmenti? Si', quelli che per
vedere che ore sono era necessario premere un tastino per
veder comparire l'orario sotto forma di cifre rosse
luminose. Erano detti orologi digitali, ma la gente pensava
che "digitale" era dovuto al fatto che per vedere l'ora era
necessario premere, con un dito, un tasto. Se e' per questo,
allora doveva essere "digitale" anche il campanello di casa
(o magari quello della bicicletta, anche se il dito
diventava pollice), il comunissimo comando di scarico del
bagno, e magari diventava digitale anche un normale
pianoforte, sempre per lo stesso motivo.
Iniziamo allora da questa parola tanto diffusa: digitale.
Deriva dall'inglese "digit" che vuol dire numero, cifra. Non
cadiamo, pero', nel secondo tranello degli anni
settanta-ottanta: e' digitale se' troviamo numeri al posto
di lancette. Nulla di piu' falso. Digitale vuol dire che il
funzionamento di un apparecchio (e naturalmente vale anche
per una singola componente di un apparato anche molto
complesso) e' determinato eseguendo vere e proprie
operazioni matematiche e logiche effettuate su numeri. Il
contrario di digitale e', come noto, "analogico". Che non
vuol dire "privo di logica", come dedurrebbe chi e' amante,
ma non studioso, di greco (come accade per i termini:
analgesico, anarchia, analfabeta) ma semplicemente che i
segnali in gioco hanno un andamento analogo all'informazione
che trasmettono. Avviciniamo il nostro occhio destro al
mirino di una qualsiasi fotocamera. Se all'interno leggiamo
l'esposizione attraverso una barra LED o direttamente su un
display numerico, il funzionamento di questo meccanismo di
visualizzazione e' digitale, se troviamo un ago oscillante
e' analogico (anche se, ad onor del vero, nulla vieta di
"attaccare" un dispositivo ad ago ad un'uscita digitale
previa riconversione in analogico). Nel primo caso e'
digitale perche' l'informazione su quanti LED accendere o
che cosa indicare sul display viaggia tra controllo
esposizione e dispositivo di visualizzazione come segnale
numerico: poca luce terzo LED , molta luce ottavo LED, ecc.
ecc. Nel secondo caso l'ago "analogico" si alza e si abbassa
in conseguenza della tensione analogica (variabile senza
soluzione di continuita') inviata piu' o meno direttamente
dall'esposimetro.
Ma abbiamo soltanto guardato nel mirino per vedere cosa ne
pensa il nostro esposimetro dell'illuminazione ambiente. Se
vi soddisfa l'inquadratura scattate pure. E' noto che in una
reflex in questo momento si chiude il diaframma, si solleva
lo specchio, parte la prima tendina, parte la seconda
tendina, si riapre il diaframma, si riabbassa lo specchio e
se avete un winder incorporato o aggiunto, avremo anche
l'avanzamento della pellicola. Anche qui il digitale puo'
farla da padrone. Ad esempio sulla temporizzazione
dell'otturatore controllato al quarzo. Vi siete mai posti il
problema di come funziona un otturatore di questo tipo?
Tutto sommato e' assai semplice: un oscillatore controllato
al quarzo non fa altro che "generare" un'onda quadra ad una
determinata frequenza, dell'ordine di alcuni kilohertz, ad
esempio 32. Un kilohertz corrisponde a 1000 oscillazioni al
secondo, 32 kilohertz fanno 32 mila oscillazioni al secondo.
Scattare una foto ad un millesimo di secondo, per la logica
di comando dell'otturatore, non vuol dire altro che far
partire la prima tendina, contare le oscillazioni, arrivati
a trentadue far partire la seconda tendina: sono passati,
infatti, trentadue trendaduemillesimi di secondo, ovvero un
millesimo di secondo. Discordo analogo per gli altri tempi
di posa: per un cinquecentesimo dovremo contare 64
oscillazioni, per un duemillesimo ne basteranno 16, per una
posa di un secondo ne conteremo trentaduemila e cosi' via.
Concludiamo questa doverosa introduzione spiegando
brevemente (e quindi mostrare la differenza fondamentale) il
funzionamento di un otturatore elettronico non controllato
al quarzo, quindi con base dei tempi analogica. Il tempo
trascorso tra la partenza della prima e della seconda
tendina e' dato da un temporizzatore basato, in pratica, su
un circuito di ritardo RC (resistenza condensatore).
Variando l'uno o l'altro valore il condensatore si
carichera' (o scarichera') piu' o meno velocemente:
l'impostazione di un tempo d'esposizione su un otturatore
elettronico di questo tipo equivale a scegliere un'opportuna
coppia resistenza/condensatore al fine di avere un tempo di
carica (o scarica) analogo all'effettiva esposizione. Quando
parte la prima tendina il sistema di controllo fara'
caricare (scaricare) il condensatore, non appena questo e'
completamente scarico (carico) parte la seconda tendina.
Adesso basta: i passeggeri ormai saliti cominciano ad
impazientirsi, partiamo!
Bit, byte, pixel
Scommetto, pero', che questi tre termini li avete sentiti
nominare o letti almeno una volta. Volendo o nolendo stanno
quasi per diventare di uso comune. Non c'e' praticamente
apparecchio elettronico oggi che non abbia al suo interno
qualcosa di digitale. E' bene allora che conosciate qualche
altro particolare sull'argomento.
Semplificando al massimo, possiamo affermare che i computer,
cosi' come qualsiasi dispositivo digitale, opera sempre e
comunque su combinazioni o flussi di "zeri" e di "uno".
Ma facciamo un passo indietro. Si narra da qualche parte che
noi umani utilizziamo per i nostri numeri cosi' come per le
nostre operazioni dieci cifre (da 0 a 9) per il semplice
fatto che abbiamo dieci dita. Probabilmente se avessimo
avuto otto dita i nostri numeri sarebbero stati formati
dalle sole cifre da 0 a 7. E' importante segnalare che con
due dita in meno, a parte i prestigiatori e i musicisti,
nulla sarebbe cambiato nella nostra evoluzione, almeno per
quanto riguarda l'aritmetica, la matematica, la geometria,
l'algebra, l'informatica e... la fotografia. Infatti anche
con sole otto cifre, utilizzando il medesimo meccanismo
della comune aritmetica decimale, avremmo potuto ugualmente
rappresentare tutti i numeri naturali, i numeri reali, i
frazionari e cosi' via. Certo non avremmo avuto unita',
decine, centinaia, migliaia, ma (non ridete!) unita', ottine,
sessantaquattrine, cinquecentododicine (che sono le potenze
di 8, cioe' 8 alla 0, 8 alla 1, 8 al quadrato, 8 al cubo e
cosi' via).
Con sole otto cifre, come possiamo scrivere la quantita' 10?
Semplicemente scomponendo la quantita' 10 in una ottina e
due unta': cosi in aritmetica ottale (cosi' e' chiamata
l'aritmetica in base 8, ossia utilizzante le sole cifre da 0
a 7) la quantita' 10 si scrive 12 (che non e' dodici, ma
"uno due ottale"). Esiste sempre un procedimento per passare
da un numero in base 10 (la nostra aritmetica) alla
rappresentazione dello stesso numero in un'altra base e
viceversa. Regole per la somma, sottrazione, moltiplicazione
e divisione restano invariate tenendo pero' presente che
nell'utilizzare una base diversa occorre applicare la
relativa tavola pitagorica, o insieme di tabelline che dir
si voglia.
Per motivi strettamente legati alla semplificazione
elettronica i dispositivi digitali utilizzano i cosiddetti
numeri binari: qui la base e' la minima possibile, due, e
vengono utilizzate le sole cifre 0 e 1. Anche in base due e'
possibile rappresentare qualsiasi numero, cosi' come succede
per la base 10 (la nostra). Quindi che dentro al computer
circolino soli "zeri" e "uno" non deve affatto preoccuparci.
La generica cifra binaria (che ripetiamo puo' assumere solo
il valore di 0 o 1) e' detta "bit" che non e' altro che la
contrazione di Binay Digit (cifra binaria, appunto). Otto
bit formano un byte. Tutte le possibili combinazioni di
"zeri" e di "uno" che possono stare in un byte sono 256,
quindi con un solo byte (otto bit) posso rappresentare i
primi 256 numeri, per la precisione da 0 a 255. Senza
scendere ulteriormente in dettagli dovrebbe essere chiaro
che con piu' byte (esattamente come dire con piu' bit) si
riesce a rappresentare qualsiasi quantita' numerica
esistente ed immaginabile.
Pixel e' invece la contrazione di Picture Element, e
rappresenta in pratica il mattoncino col quale formiamo una
generica immagine digitale. Prima stazione!
L'immagine digitale
Nei moderni calcolatori bit e byte non servono solo per
rappresentare numeri e lettere, eseguire calcoli o comandare
dispositivi quali dischi, stampanti e scanner, ma anche (da
un po' di tempo soprattutto) per rappresentare immagini.
Spiegare questi concetti a chi e' gia' conoscitore della
fotografia e' davvero molto semplice. Esiste infatti un
diretto parallelismo tra la comunissima grana di una
pellicola fotografica e i pixel di una immagine digitale.
Anzi potremmo dire che in pratica sono la stessa cosa, con
l'unica differenza che la grana e' qualcosa di irregolare
(in ogni immagine tradizionale i granuli, non so se si
chiamano cosi', non sono tutti rigidamente della stessa
dimensione) mentre la "trama" di pixel di un'immagine
digitale e' invece regolarissima: tutti i pixel (della
stessa immagine) sono esattamente della medesima dimensione
e l'unica cosa che puo' variare e' il loro colore. Cosi'
come in una pellicola ad alta definizione la grana e'
piccolissima, un'immagine digitale ad alta definizione e'
composta da tantissimi pixel molto piccoli. Quanti piu' sono
i pixel che compongono l'immagine digitale di una
determinata dimensione tanto piu' sara' alta la sua
risoluzione. Nulla di nuovo, dunque.
Quel che cambia e', invece, l'essenza. Un'immagine
fotografica tradizionale puo' stare su una diapositiva, su
una pellicola negativa, puo' essere stampata su carta, o
uscire direttamente dall'apparecchio se e' una Polaroid.
L'immagine digitale non e' altro che un grosso insieme di
numeri inseriti in qualche modo all'interno di un computer.
Gli stessi numeri possono stare su un dischetto magnetico,
su un nastro, trasmessi via cavo ad una stampante. Oppure
possiamo visualizzarla temporaneamente su un monitor. Ma in
che modo dei numeri possono rappresentare un'immagine? In
cosa siamo limitati rispetto alla fotografia tradizionale?
E, se esistono, quali sono invece i vantaggi del trattamento
digitale di un'immagine? Calma, calma, una fermata per
volta!
Rappresentazione digitale di un'immagine
Nel rappresentare digitalmente un'immagine (fotografica o
anche un semplice disegno) la prima cosa da stabilire e'
quanti colori vogliamo o possiamo utilizzare. Gia' qui
troviamo una fondamentale differenza rispetto all'immagine
tradizionale. Di una pellicola fotografica possiamo misurare
la sensibilita', la fedelta' cromatica, la latitudine di
posa, volendo la dimensione della grana (anche se qui c'e'
di mezzo anche il trattamento), ma non credo sia possibile
stabilire su una pellicola quanti colori (o grigi se e' B/N)
riusciamo a "catturare". Senza tema di smentita possiamo
tranquillamente affermare che sono infiniti, cosi' come sono
infiniti i colori in natura. Con questo non voglio
assolutamente dire che nella fotografia tradizionale
riusciamo sempre ad ottenere lo stesso identico colore che
stiamo fotografando (magari fosse cosi'), ma la fedelta' e'
una cosa, il numero di colori rappresentabili e' un altra.
In un'immagine elettronica ad ogni pixel e' associato un
certo numero di bit. Piu' bit dedichiamo ad ogni pixel piu'
colori riusciamo a visualizzare. Se la nostra immagine e'
composta da soli bianchi e neri (come un'immagine light, ad
altissimo contrasto) e' sufficiente un bit per ogni pixel:
ad esempio un bit a 0 per ogni pixel bianco e un bit ad 1
per ogni pixel nero. Immaginiamo di disegnare digitalmente
un triangolo nero su sfondo bianco. Visto che i colori sono
solo due (bianco e nero) e' sufficiente, come detto, un bit
per ogni pixel. La sua rappresentazione potrebbe essere la
seguente:
000000000000000000000000000000000000000000000
000000000000000000000000000000000000000000000
000000000000000000000010000000000000000000000
000000000000000000000101000000000000000000000
000000000000000000001000100000000000000000000
000000000000000000010000010000000000000000000
000000000000000000100000001000000000000000000
000000000000000001000000000100000000000000000
000000000000000010000000000010000000000000000
000000000000000100000000000001000000000000000
000000000000001000000000000000100000000000000
000000000000010000000000000000010000000000000
000000000000100000000000000000001000000000000
000000000001000000000000000000000100000000000
000000000010000000000000000000000010000000000
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000000100000000000000000000000000000001000000
000001000000000000000000000000000000000100000
000010000000000000000000000000000000000010000
000111111111111111111111111111111111111111000
000000000000000000000000000000000000000000000
000000000000000000000000000000000000000000000
forse non e' molto chiara, ve la faccio rivedere sostituendo
un trattino ad ogni zero e un asterisco ad ogni uno
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Se ad ogni pixel associamo piu' bit, possiamo creare la
nostra immagine digitale utilizzando sfumature di grigio o
colori. Ad esempio associando due bit per ogni pixel avremo
la possibilita' di codificare (e quindi utilizzare) quattro
colori o livelli di grigio. Infatti, con due bit possiamo
ottenere le seguenti combinazioni che potremmo ad esempio
associare a questi colori:
00 ---> Bianco
01 ---> Grigio chiaro
10 ---> Grigio scuro
11 ---> Nero
Nulla vieta, pero' di associarli ad altri colori, ad
esempio:
00 ---> Rosso
01 ---> Verde
10 ---> Giallo
11 ---> Viola
piu' bit associamo ad ogni pixel, piu' colori potremo
codificare e quindi trattare, memorizzare e visualizzare.
Ovviamente un maggior numero di bit comportano da una parte
una maggiore occupazione in memoria dell'immagine digitale,
ma dall'altra anche una gestione piu' pesante e laboriosa
quando bisogna in qualche modo eseguire un trattamento
digitale (effetti post-ripresa, tipo camera oscura,
correzioni cromatiche, elaborazioni digitali varie ecc.ecc.).
Gia' con 256 colori (8 bit per pixel) il risultato e'
abbastanza gradevole, specialmente se associamo a questi il
meccanismo della "Palette" di cui parleremo tra poco. Se
invece non vogliamo scendere a compromessi, dovremo
utilizzare almeno 24 bit per pixel che ci permettono di
utilizzare oltre 16 milioni di colori. A causa del fatto che
l'occhio umano difficilmente riesce a notare differenze tra
un'immagine a 16 milioni di colori e un'immagine reale a
infiniti colori, tale tecnica e' detta "true color" (colori
reali). Ma si tratta di vero e proprio "falso tecnologico"
che sfrutta le nostre limitate (per modo di dire...)
capacita' percettive.
Colori e Palette
La "Palette" e' la tavolozza del pittore sulla quale
prendono vita i colori utilizzati per la realizzazione di un
quadro. Nella rappresentazione digitale di un'immagine, il
meccanismo della "Palette" permette di ottimizzare l'uso dei
colori disponibili dovuti, come detto, al numero di bit
associati ad ogni pixel. Se infatti il nostro sistema
digitale lavora ad esempio a 256 colori e questi sono
stabiliti in maniera fissa dal costruttore una volta per
tutte, potremmo avere un po' di problemi per tutte quelle
immagini in cui i colori non corrispondono ai 256
prefissati. Vedremo le nostre immagini, specialmente se
ricche di sfumature, con i colori falsati per il fatto che
il sistema ha dovuto utilizzare solo quelli disponibili o,
molto spesso, solo un ristretto sottoinsieme di questi.
Restringere, infatti, a solo 256 gli infiniti colori della
natura vuol dire che avremo una decina di grigi, una decina
di blu, una decina di rossi, una decina di verdi, una decina
di gialli, una decina di marroni e cosi' via. Se nella
nostra immagine sono presenti solo alcuni rossi e alcuni
verdi (ad esempio la foto di un campo di papaveri) sebbene
il sistema metta a disposizione 256 colori noi riusciremo ad
utilizzarne soltanto una ventina, i dieci verdi e i dieci
rossi. Bella fregatura!
Il rimedio c'e' e consiste nell'utilizzare una "Palette",
ovvero un elenco di colori ridefinibili: i 256 colori non
sono fissi, ma possono essere impostati dall'utente (o
automaticamente dal sistema). Ferma restando quindi
l'occupazione di memoria per quel che riguarda l'immagine (8
bit per pixel), facciamo in modo che ognuna delle possibili
256 combinazioni non corrisponda ad un colore preimpostato
ma ad una determinata casella della "Palette": se ogni
casella della "Palette" e' da 24 bit, avremo si' 256 colori,
ma a scelta tra gli oltre 16 milioni codificabili con 24
bit. Ritornando all'esempio del campo di papaveri, possiamo
definire 128 sfumature diverse di verde e 128 sfumature
diverse di rosso (128 + 128 = 256) per ottenere un'immagine
altamente realistica. Certo se i colori cominciano ad essere
molto diversi tra loro l'effetto benefico della "Palette"
diminuisce conseguentemente, ma mai da essere del tutto
inutile.
Concludendo
Purtroppo per motivi di spazio siamo costretti a fermarci
qui, ma speriamo di tornare presto sull'argomento, attuale
come non mai in questo momento di gia' alta alfabetizzazione
informatica e con il PhotoCD della Kodak che spinge
prepotentemente per entrare a far parte del nostro vivere
quotidiano. I computer stanno ormai dappertutto, forse meno
che nelle camere oscure degli appassionati di fotografia
(che non esiteremmo a ribattezzare "camere chiare") dove
questo affascinante mondo ci aspetta per metterci a
disposizione strumenti per il trattamento dell'immagine
impensabili solo alcuni anni fa. E' possibile, tanto per
fare qualche esempio, elaborare digitalmente le immagini sia
per ottenere tramite opportuni software elaborazioni tipiche
della camera oscura (solarizzazione, modifica del contrasto,
dell'inquadratura, del bilanciamento cromatico, ecc.ecc.)
sia elaborazioni del tutto nuove che a voler realizzare con
i metodi tradizionali ci costerebbero ore e ore di tentativi
ed una esperienza e maestria non indifferente. Senza contare
che "in digitale" possiamo sempre tornare indietro sui
nostri passi per provare diverse elaborazioni, in camera
oscura se non raggiungiamo il risultato voluto non possiamo
far altro che ricominciare tutto da capo. Incrociando le
dita.
Articolo pubblicato
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