IBM S/360: S come System
«È aggettivo qualificativo, no?!?» (cit.) Così direbbe Totò, non a Peppino, ma al mondo intero, per spiegare in «una parola» (ri-cit.) l’essenza stessa di questa pietra miliare nel progresso tecnologico e informatico.
Mai aggettivo qualificativo (corsivo d’obbligo) fu più azzeccato. Per la prima volta, nonché molto in anticipo sui tempi, si investiva sul concetto, o per meglio dire sulla carta vincente, della piena compatibilità. L’IBM 360 non era solo una famiglia di computer ma una vera e propria piattaforma ad architettura unica. Prima di allora capitava molto spesso, per non dire sempre, che nel passaggio a un sistema successivo dalle caratteristiche superiori si era costretti ad eliminare i programmi esistenti - perdendo quindi gli investimenti - e ricominciare praticamente da zero. Non c’erano ancora aziende esterne di software e quindi il codice veniva personalizzato, in molti casi scritto su misura, per ogni nuova macchina dagli utilizzatori stessi.
Come ricorda IBM, «Il System/360 ha cambiato quella dinamica da un giorno all'altro, separando il software dall'hardware. Per la prima volta, il software scritto per una macchina poteva essere eseguito su qualsiasi altra macchina della linea. Ciò ha consentito alle aziende di acquistare un piccolo sistema informatico e di integrarlo secondo necessità. Il System/360 ha creato nuovi modi di pensare alla progettazione, realizzazione e utilizzo dei sistemi informatici e la sua influenza è avvertita ancora oggi».
Era un sistema di uso generale, totalmente scalabile, progettato per potersi adattare tanto agli scopi commerciali, quanto a quelli scientifici, di comunicazione, o per le applicazioni di controllo. Al suo set di istruzioni standard di base potevano essere aggiunte funzionalità di calcolo decimale per applicazioni commerciali o quelle in virgola mobile per le esigenze di calcolo scientifico. Anche la memoria centrale poteva essere aumentata a dismisura secondo le esigenze (fino a 512 KB di RAM, che non erano certo pochi in quegli anni, considerando che parliamo ancora di tecnologia a nuclei di ferrite) così come la memoria secondaria per megabyte e megabyte di spazio ulteriore, su dischi, tamburi magnetici e, naturalmente, nastri.
Si potevano combinare diversi modelli di System/360 in una configurazione multisistema, con tre livelli di comunicazione tra le CPU anche con connessione diretta tra i canali di più sistemi. Lo spazio di archiviazione poteva essere condiviso tra due CPU, effettuando lo scambio dati alla massima velocità disponibile. La comunicazione era ottenuta tramite meccanismi di interrupt tra CPU, per rendere disponibili istantaneamente informazioni condivise sullo stato del sistema.
Fiore all’occhiello, sicuramente non l’unico, riguardante l’hardware del System/360, era la Solid Logic Technology. Introdotta da IBM in quegli anni, rappresentò il trait-d’union tra l’ormai matura tecnologia a stato solido tradizionale, basata su componenti discreti (in primis transistor e diodi), e i veri e propri microchip non ancora disponibili. In pratica, mi si passi il termine, erano dei (piccoli) circuiti (poco) integrati che contenevano all’interno qualche componente a stato solido miniaturizzato, poche unità, più qualche resistenza serigrafata con tecniche diverse, su uno strato ceramico. Nella foto in alto, indicato in blu uno dei sei transistor, in verde uno dei tre resistori. Il tutto era infine incapsulato in un contenitore metallico o plastico, un quadrato da mezzo pollice di lato, e con i suoi tipici piedini poteva essere scambiato - con il senno distratto di oggi - per un normale integrato, che ovviamente non era. Aiutava però, e non poco, a risolvere il problema di ridurre il più possibile le distanze tra i componenti, consentendo di raggiungere velocità di elaborazione sempre più elevate. Facciamocene una ragione, le dimensioni contano!