Xerox Alto, e «finestre» fu!
Mouse e relativa interfaccia di base NON sono nate in Xerox e nemmeno a Palo Alto. Questa macchina ha però il merito di aver mostrato la sua tecnologia alle persone giuste, compreso a un quasi sconosciuto Jobs che la volle per il suo Lisa e poi sui Mac.
«Correva l’anno 1979 - perdonate l’autocitazione dal libercolo dello scorso anno - e l’affamato (di conoscenza) Steve Jobs era in visita, come lo stesso dichiara in un’intervista smarrita per un po’ di anni, proprio allo Xerox Palo Alto Research Center. Lì, racconta, rimase letteralmente folgorato da quella rivoluzionaria interfaccia grafica, seppur da completare e migliorare, come poi avvenne. Ma il passaggio storico più importante fu proprio il fatto che immaginò questa modalità di interazione come indispensabile per i futuri computer. E non si riferiva, almeno col senno di poi (l’intervista è del 1995, sedici anni dopo quella visita) solo agli Apple»
La reale nascita del mouse è databile non meno di sei anni prima dello Xerox Alto: è facilmente rintracciabile sul web (citofonare Nonno Google) un PDF del brevetto originale depositato nel 1967. La sua invenzione è dovuta al ben noto (?) Douglas Engelbart, vulcanico inventore americano fissato con l’interazione uomo-macchina. Si deve a lui anche la legge omonima, secondo cui il tasso intrinseco della prestazione umana è esponenziale. Per certi aspetti, la legge di Moore de noantri… umani!
Altrettanto famosa è quella successivamente definita come «la madre di tutte le demo», tenuta sempre da Engelbart l’anno dopo, siamo nel 1968. Considerabile quasi una lectio magistralis sull’interfaccia utente, nonostante a quel tempo avesse ancora poco o nulla di grafico: non c’erano tracce di finestre, come le intendiamo oggi, o icone. C’era però il mouse in persona da lui inventato, qui in foto. Il puntatore era una freccia, poco grafica, rivolta verso l’alto sullo schermo e già era chiara la sua forza nell’interagire in qualche modo con i contenuti visualizzati. Fosse anche solo per navigare un ipertesto, selezionare una parola o, colpo di scena, procedere in scioltezza con operazioni di copia e incolla di testi, senza ricorrere alla tastiera per ridigitarlo. Futuro, in una sola parola!
Icone e finestre erano viceversa presenti nello Xerox Alto, anche se le prime non erano quelle che intendiamo oggi, ovvero la rappresentazione visiva di file e cartelle. Lì rappresentavano principalmente le funzionalità dei software stessi, ad esempio un quadratino per disegnare un rettangolo in quello grafico, oppure i vari stili dei caratteri (corsivo, sottolineato, grassetto) in quelli per l’elaborazione dei testi. Le finestre, velocità di spostamento a parte, erano simili a quelle moderne: potevano essere tra loro sovrapposte, ridimensionate e a lato c’era la barra di scorrimento per visualizzare contenuti più ingombranti della dimensione delle finestre stesse.
Come se ciò non bastasse, lo Xerox Alto, oltre ad essere stata la prima macchina con interfaccia utente grafica basata su mouse e finestre, ha avuto anche altro di cui vantarsi. Ad esempio disponeva di una innovativa porta Ethernet che, forse pochi lo ricorderanno (presente!), è nata anche questa in Xerox in quegli anni. Altri fiori all’occhiello erano i due editor Bravo e Gypsy di tipo WYSIWYG (in grado di mostrare a video durante l’editing il risultato che avremmo ottenuto dopo la stampa, cosa scontata… oggi), uno di grafica vettoriale per i circuiti stampati e un altro specifico per la progettazione - scusate se è poco! - dei circuiti integrati. Non mancavano strumenti per la posta elettronica (altrimenti l’Ethernet… che ce la mettiamo a fare?!?) e diversi videogiochi basati sulla grafica, tanto per rimanere in tema. Anche multiutente, per la gioia della porta di rete… sempre più gasata!
Tutto questo ben di dio futuribile, colpo di scena, non apparteneva in realtà a un prodotto commerciale. Lo Xerox Alto, seppur una macchina realmente prodotta, ovvero NON era una semplice esercitazione tecnologica rimasta in forma prototipale, non venne mai commercializzato dalla casa madre: non c’era modo di acquistarlo. Era, se vogliamo, uno strumento interno utilizzato dai loro tecnici e programmatori mirato allo sviluppo delle loro tecnologie. Ne furono costruiti in circa dieci anni quasi duemila pezzi, di cui la metà per l’azienda stessa, l’altra metà omaggiata a decine di centri di ricerca e università, più o meno a scopo promozionale.
Che occasione sprecata!